Ma è certo che dopo un 2017 senza padroni, la Wta metterebbe la firma per vivere in versione femminile ciò che è successo all'Atp lo scorso anno con il ritorno al top di Roger Federer e Rafa Nadal. Al di là della considerazione oggettiva sul fatto che i campioni mediaticamente forti siano un ottimo traino per qualsiasi sport, non si può ignorare che dall'inizio del 2017 ci siano stati ben nove cambiamenti al vertice della classifica mondiale del tennis femminile (7 lo scorso anno, già 2 nel 2018). Per ritrovare un tale saliscendi bisogna andare indietro di 16 anni: anche nel 2002 ci furono sette avvicendamenti al top ma tutti tra Jennifer Capriati e Venus Williams, tranne il primo – con la Capriati a scalzare Lindsay Davenport – e l'ultimo, con Serena che per la prima volta si prendeva la corona, sfilandola alla sorella. Insomma un terremoto contenuto, e solo per quattro campionesse. Il lungo scossone che dallo scorso anno non accenna a esaurirsi, invece, ha visto coinvolte finora già sei giocatrici (Serena, Kerber, Karolina Pliskova, Muguruza, Halep e Wozniacki), alcune con interregni brevissimi. Sinonimo di equilibrio e quindi di spettacolo? Non necessariamente. O meglio: di equilibrio, sì. Di spettacolo, mica tanto. Non a caso i saliscendi sono stati generati prima di tutto da una comune incostanza di rendimento che proprio prerogativa delle campionesse non è. E allora, ben vengano i domini delle fuoriclasse, di quelle che è sempre bello veder giocare. Di quelle che riempiono gli stadi del tennis anche se poi, alla fine, è sicuro che vincono loro. Dio salvi le mamme. Serena e Vika, il tennis ha bisogno di voi.
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