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di Gianluca Cordella

Roland Garros e Nba: due finali da far studiare ai ragazzini

Roland Garros e Nba: due finali da far studiare ai ragazzini
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Sabato 20 Giugno 2015, 13:53 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 20:43
Metto insieme due cose che, di fatto, non c'entrano nulla l'una con l'altra. Se non nella mia mente. La finale dell'ultimo Roland Garros tra Wawrinka e Djokovic e quella di Nba vinta da Golden State su Cleveland. Due esempi. Della prima imporrei la visione nelle scuole tennis. Premetto: sono un romantico del rovescio a una mano e non so quanti sono con me in questa battaglia filosofica. In ogni caso, la finale di Parigi è stata l'esaltazione di un'ideologia estetica ben precisa. L'eleganza del rovescio a una mano di Wawrinka che vince contro la forza straripante del colpo bimane di Djokovic. Sono cresciuto guardando Agassi, Courier, Monica Seles. E poi sono arrivati Nadal, Murray e Djokovic. Ma sotto sotto ho sempre tifato per Edberg, Muster, Sampras, Federer. Persino per Gasquet, che ha un rovescio talmente bello che meriterebbe il numero uno del mondo ad honorem salvo poi impedirgli di scendere ancora in campo per non cancellare la bellezza di quel gesto con la follia che spesso lo guida verso sconfitte assurde. Ci vuole coraggio a giocare a una mano in un tennis talmente veloce da rendere fisicamente più difficile usare un colpo così ampio. Ma chi lo fa, secondo me, è meritevole di stima. Wawrinka a Parigi ha dimostrato che quando porti quel fondamentale alla massima espressione non c'è missile bimane che tenga. Una posizione molto retrò, me ne rendo conto, da fondamentalista ancorato al passato sportivo tipo quelli che storsero il naso negli anni '60 quando Fosbury inventò il nuovo stile per il salto in alto. Ma tant'è: parlo di un'emozione del tutto personale, io che faccio fatica a imporre le mie idee anche al mio cane, figurarsi a un lettore che ha passioni sportive forti esattamente quanto le mie. Più oggettivo è il discorso sulle Finals Nba che hanno insegnato, in sei gare, tutto ciò che dovrebbero sapere i giovanissimi che si avvicinano agli sport di squadra. Hanno spiegato il concetto di leadership personale, immensa quella di LeBron che spinge una squadra mediocre ben al di là dei propri limiti. Hanno illustrato la massima espressione della grinta, grazie alla quale un giocatore normalissimo come Matt Dellavedova manda fuori di testa uno come Steph Curry, superiore a lui di diverse categorie cestistiche. Hanno sintetizzato il concetto fondamentale dell'importanza del gruppo che, se adeguatamente unito e guidato, riesce ad avere la meglio anche su avversari sovrumani come King James (questo in realtà i Warriors lo hanno dimostrato nell'intera stagione, prendendo a schiaffi squadre più blasonate e piene di campioni dei raffazzonati Cavs delle Finals). Hanno rivelato che tra le doti dei campioni c'è la pazienza: Andrè Iguodala, miglior giocatore delle finali, escluso 82 volte su 82 dal quintetto iniziale in regular season. Non era mai successo prima. E tante altre cose che adesso non sto qui a snocciolare in maniera noiosa. Il consiglio è di rivedere tutti e sei i match: tra i gesti, gli sguardi e le espressioni dei giocatori troverete altre decine di spunti “pedagogici”. Se poi sei match di basket sono una maratona esagerata, potete sempre prendervi una pausa per riguardare la finale del Roland Garros.
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