MilleRuote
di Giorgio Ursicino

C'era una volta Vettel: il campione nervoso non aiuta la Ferrari

4 Minuti di Lettura
Domenica 6 Novembre 2016, 22:31
Anche in Formula 1, a quanto pare, gli esami non finiscono mai. E un quattro volte campione del mondo, al volante di una Ferrari in astinenza da titolo ormai da un decennio, può finire sul banco degli imputati anche se si chiama Sebastian Vettel, il tedesco designato erede al trono della velocità dallo stesso Michael Schumacher. «Tutti siamo in discussione, io per primo», ha ricordato recentemente il presidente Marchionne, un approccio che guida la filosofia aziendale del numero uno del Cavallino fautore del rilancio dell’auto italiana nel mondo. In altre parole, ognuno ha un compito e deve svolgerlo al meglio, è pagato per questo.

A Maranello sono in diversi i rimandati e, se in dieci gare sali sul podio una volta soltanto, non può essere altrimenti, al netto della sfortuna che certo non è mancata. Tante cose non hanno funzionato sulla vettura e anche nelle strategie, nonostante sia evidente (come è accaduto in Texas) che quando si insegue bisogna fare qualcosa di diverso dagli altri, osare oltre i limite con il rischio di restare con il cerino in mano. All’interno del team saranno fatte le dovute analisi per capire chi ha mancato i target e verranno prese le decisioni adeguate, ma sono sempre più numerosi i tifosi che puntano l’indice contro Sebastian. I capi d’accusa?

Lui non è un semplice campione, ha il curriculum del fenomeno, del predestinato e, in quanto tale, avrebbe dovuto dare sempre il massimo per proteggere il Cavallino in questo periodo un po’ azzoppato, come hanno fatto nel recente passato Schumi e poi Alonso. Secondo molti, invece, Seb si è comportato come un pilota “normale” contribuendo con i suoi errori ad aggravare una situazione già delicata che con il tempo è andata peggiorando. C’è addirittura chi avanza un’ipotesi choc: Vettel non è un fuoriclasse, ma un ottimo driver che ha sfruttato al meglio l’occasione di guidare per un lungo periodo la monoposto di gran lunga migliore.

Ad alimentare questa tesi ci si è messo casualmente l’arrivo di Verstappen, il baby prodigio planato come un uragano sul Circus facendo quello che gli appassionati adorano: guida fortissimo, parla poco e non sbaglia quasi mai, nonostante un’evidente mancanza di esperienza. Non è difficile prendere le distanze da questa tesi, Sebastian detiene un numero di record impressionanti in F1: 15 pole in una stagione (2011), 13 vittorie (2013), 9 trionfi di fila (2013), 397 punti (2013) e resta il più giovane ad aver conquistato il titolo (Verstappen ha ancora due anni per batterlo...) oltre ad essere il più giovane ad aver centrato una pole e conquistato 4 mondiali di fila.

Ha inoltre ottenuto punti all’esordio in F1 (in Canada nel 2007), ha dominato il GP d’Italia sotto l’acqua a Monza scattando dalla pole con la Toro Rosso a 21 anni appena compiuti e quando ne aveva solo 16 ha dominato il campionato tedesco di Formula BMW vincendo 18 gare su 20 (roba alla Senna). Fin qui il bicchiere pieno fino all’orlo, logico da un tipo del genere aspettarsi l’infallibilità. Cosa che oggettivamente Seb quest’anno non ha fatto. A parole è rimasto sempre vicino alla Scuderia (cosa che veniva rimproverata ad Alonso), ma con i fatti l’ha spesso penalizzata coinvolgendo in più di un’occasione (Cina e Belgio) pure l’incolpevole compagno Raikkonen.

Preso dalla rabbia qualcuno ricorda che il suo compagno in Red Bull era il “modesto” Webber e che nel 2014 quando è arrivato Ricciardo l’australiano ha vinto due gare e Seb nemmeno una. Senza entrare nel merito del rendimento di guida nel 2016 in alcuni frangenti apparso non esaltante (Kimi spesso gli è stato davanti e ha più o meno gli stessi punti in classifica), Vettel è stato spesso troppo nervoso, è entrato in contatto con gli altri, ha innescato polemiche anche inutili (alla fine si pagano) e si è lamentato oltre misura pure con i giudici. Roba da esordiente e non da riferimento assoluto della categoria.

Dagli scontri con Kvyat a quelli con Verstappen e non sempre aveva ragione come si è visto anche in Texas. Seb ha dato l’impressione di non sapersi adattare ad un’auto che non è la migliore. Ad Austin si è lamentato con Massa che non gli lasciava strada (non era doppiato, aveva una Williams velocissima in rettilineo e montava gomme più morbide) poi ha mandato a quel paese il direttore di corsa, cosa che certo non aiuta e avrebbe potuto potrebbe portare ulteriori conseguenze. Insomma nel paddock gira la sensazione che se si vuole puntare al titolo nel 2017, oltre a realizzare una monoposto all’altezza, è necessario dare una messa a punto anche a Sebastian.
© RIPRODUZIONE RISERVATA