Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Robinson Crusoe, trecento anni di solitudine

Robinson Crusoe dipinto da Newell Convers Wyeth
di Riccardo De Palo
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Mercoledì 10 Aprile 2019, 13:41 - Ultimo aggiornamento: 15:13
Quando Daniel Defoe cominciò a scrivere Robinson Crusoe, cercava soltanto di migliorare la sua situazione finanziaria. Aveva idee all'avanguardia e controcorrente (fu lui il primo a proporre la creazione di una banca centrale) ma la sua vita era tormentata. Quando lo arrestarono e lo misero alla gogna, per avere diffamato con un libello la Chiesa d'Inghilterra, scrisse un inno al suo strumento di tortura, che circolò per tutta Londra e che mutò la sua pena in trionfo. Decise di dedicarsi alla narrativa soltanto a tarda età; e poiché era oppresso dai debiti, lavorò a un ritmo forsennato: sei volumi in cinque anni. Il suo libro più celebre, primo vero romanzo d'avventura (I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift è del 1726) apparve trecento anni fa, il 25 aprile del 1719. Non lo rese ricco come sperava, ma fu comunque un successo epocale.

La storia del figlio di un mercante di Brema, che decide di sfidare le direttive paterne e di imbarcarsi su una nave, per fare naufragio in un'isola abitata soltanto da indigeni, ebbe diverse edizioni, e diventò anche il libro preferito di Jean-Jacques Rousseau. Fu nell'Ottocento che questo genere di letteratura raggiunse l'apice della sua fortuna con scrittori come Alexandre Dumas o il nostro Emilio Salgari. Robinson Crusoe fu elogiato dai poeti Wordsworth e Coleridge, commentato da Karl Marx e da Edgar Allan Poe.

PRIMA PERSONA
Defoe scrisse il libro in prima persona, per aggiungere verosimiglianza alla sua vicenda, e quindi conquistare il maggior numero di lettori. Critici come Ian Watt (The Rise of the Novel, 1957) hanno visto in lui il vero propulsore del genere romanzesco, che nasce contemporaneamente alla formazione «di una società caratterizzata da vasti e interdipendenti fattori denotati dal termine individualismo». Iniziano ad avere valore miti moderni come il comfort (così odiato, più tardi, da Arthur Rimbaud); e non è un caso che il naufrago cerchi di riprodurre, nell'isola deserta, le caratteristiche della sua vita quotidiana, borghese, e che affidi a un diario le sue osservazioni. Watt nota che la figura di Robinson Crusoe «è stata spesso utilizzata, in maniera appropriata da molti economisti, per definire la loro rappresentazione dell'homo economicus». Tutti i personaggi principali dei romanzi di Defoe (come l'autore stesso) cercano il profitto, da Moll Flanders al capitano Singleton, nota Max Weber. Tuttavia non è questa l'unica ragione della modernità di Robinson Crusoe, e della sua immensa fortuna (il romanzo ebbe sette edizioni mentre lo scrittore era in vita e 75 in età romantica, mentre oggi è secondo soltanto alla Bibbia, per numero di traduzioni).

Gabriel Cervantes, dell'Università di Glasgow, è uno degli organizzatori del convegno della Defoe Society che si terrà questa estate in Inghilterra, nella città di York. A suo parere il libro contiene molti elementi che hanno contribuito al successo: il cannibalismo, l'isolamento, il viaggio, la pirateria; ma è anche il primo a porsi dei dilemmi morali nei confronti delle altre culture. «Quando Crusoe si imbatte nei cannibali con il fedele Venerdì - ha detto Cervantes al Sunday Post - si chiede: chi sono io per giudicarli? Perché dovrei pensare di essere migliore di loro?». Soltanto quando i cannibali divorano un cristiano il protagonista si rende conto che è «intollerabile» e decide di farli fuori.

Robinson Crusoe, come dicevamo, può dirsi il primo romanzo d'avventura moderno; ma William Shakespeare, molto prima di lui, aveva già tracciato una cornice simile, nella Tempesta. Calibano è un selvaggio brutale, anche se a lui sono affidati alcuni dei versi più commoventi. E alla fine, il lieto fine è servito, con i naufraghi liberi dal sortilegio di Prospero, perché in fondo, «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni».

L'ISPIRAZIONE
Shakespeare si era ispirato a William Strachey, che raccontava il naufragio di una nave inglese diretta in Virginia. Defoe voleva far credere (cosa non si fa per vendere) di avere vissuto in prima persona quelle esperienze; ma in realtà aveva tratto ispirazione dal racconto di un marinaio scozzese, Alexander Selkirk, che aveva trascorso più di quattro anni nella solitudine delle isole Juan Fernández. La vicina isola del Pacifico in cui morì fu intitolata (solo nel 1966) a Robinson Crusoe, in onore del romanzo. È meta di pellegrinaggi.
Oggi, il libro continua ad ispirare il cinema. A parte le numerose trasposizioni (come quella del 1954 di Luis Buñuel), ricordiamo Cast Away di Robert Zemeckis, con un grandissimo Tom Hanks, che a Defoe deve gran parte dell'ispirazione; e l'intera saga surreale di Lost, in cui J.J. Abrams rivede la storia dell'eterno naufrago in chiave fantastica e (quasi) mistica. In fondo, il nuovo pubblico delle serie è lo stesso che seguiva le puntate dei feuilletton. 

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