Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Sandro Veronesi: «Dopo il bis al Premio Strega, mi do al cinema»

Sandro Veronesi: «Dopo il bis al Premio Strega, mi do al cinema»
di Riccardo De Palo
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Sabato 4 Luglio 2020, 18:37 - Ultimo aggiornamento: 18:53

Nemmeno Sandro Veronesi pensava di poter ottenere un trionfo simile, 200 voti contro i 132 di Gianrico Carofiglio, validi per il secondo Premio Strega della sua carriera, dopo quello del 2006 per Caos calmo. Il colibrì, centomila copie vendute, è stato anche opzionato per un film. L'euforia è stata tale che, nel cuore della notte, è stata ordinata una tiratura extra. «Sì, pensavamo a un margine molto più risicato», dice l'autore, che stasera sarà a Pavia per la Milanesiana.

Premio Strega, il "bis" di Sandro Veronesi: era riuscito solo a Paolo Volponi

La nave di Teseo ha prevalso contro una corazzata: Mondadori.
«Hanno molte armi, potere, capacità di persuasione. Ti aspetti sempre che tirino fuori i voti dal sottosuolo».
Invece così non è stato. Non crede che ora molti altri vincitori delle passate edizioni tentino di emularla?
«Io lo spero. E spero che nel giro di pochi anni, questa cosa imbarazzante dei due Strega di Volponi e Veronesi non sia più considerata una notizia, perché altri avranno vinto di nuovo».

Crede sia utile?
«Il premio ci guadagna. Lo so che alcuni non sono d'accordo; ma così si è dimostrato che anche un editore come La nave di Teseo, che non è un grande gruppo, può prevalere in questa competizione. Avere già vinto, in realtà, è un handicap, perché ci sono molti amici della domenica che sono riluttanti a rivotare per te».

Lei ha detto che il colibrì è non solo il soprannome affibbiato al protagonista, l'oculista Marco Carrera, ma anche un simbolo di combattività, di resilienza.
«Ci sono molte cosmogonie non comunicanti tra loro, in Africa e nell'America Precolombiana, che usano proprio il colibrì come simbolo del guerriero. Marco Carrera torna a essere soprannominato colibrì in età adulta, per via della sua attitudine di impiegare tutte le energie per cercare di stare fermo; una cosa che i colibrì fanno abbastanza misteriosamente e naturalmente. Certo, in questo modo sono padroni del loro destino; ma se arriva una ventata forte li spazza via, come succede anche al mio protagonista».

Dopo la premiazione ha citato Il pianto della scavatrice di Pasolini: Solo l'amare, solo il conoscere/ conta, non l'aver amato,/ non l'aver conosciuto. Come mai?
«Mi chiedevano che cosa si prova ad avere vinto due volte il Premio Strega; ma per me la vittoria è una, l'ultima. Così come l'altra, che ormai non conta più. Perché è già passata».

Cosa ha mosso la sua ispirazione?
«L'immagine generatrice è una morte per acqua, avvenuta mentre i membri della famiglia stavano anch'essi sulla riva di quello stesso mare a godersi, invece, dei momenti felici. È stata una specie di primo motore, intorno al quale è risultato naturale creare questo personaggio, molto diverso da me, Marco Carrera, che riesce a sopportare e ad adeguarsi in qualche modo alle avversità, anche le più dolorose, con un'attitudine paragonabile a quella del colibrì».

Lei ha dedicato il premio, tra gli altri, a Umberto Eco. Un ricordo di lui?
«Quando lavoravamo a quest'idea - che dapprima era solo una speranza, e poi è diventata un progetto, e quindi una realtà, una nuova casa editrice - lui sapeva che probabilmente non sarebbe arrivato a vedere i frutti del suo lavoro. Però era il solito di sempre; e se non c'era la moglie nei paraggi a impedirglielo, si faceva il suo whisky del mezzogiorno. Non avevo considerato che aveva 84 anni, e che poteva venire a mancare: lo percepivo come un mio coetaneo».

Quando scrive, che segno vorrebbe lasciare? 
«Io non mi illudo che la letteratura possa incidere sulla società: non è mai stato così nemmeno nell'età d'oro. Nell'Ottocento a Victor Hugo gli hanno dato un calcio in culo e lo hanno tenuto per quindici anni in esilio; eppure era un grande attivista, un grande scrittore. È difficile che la letteratura possa avere influenza politica; però nulla vieta di sperare di poter dare un piccolo contributo».

Lei ha usato nel suo romanzo molti elenchi di oggetti. Noi siamo ciò che possediamo?
«Dipende. Rischiamo di diventare pastori di cose, come ha detto Emanuele Trevi con una felice intuizione in un libro, I cani del nulla; ma non tutti: solo coloro che lo vogliono. Per il mio protagonista non si tratta di avidità per la roba, ma di mantenere vivo un sentimento nei confronti di chi non c'è più».

Cosa sta scrivendo adesso?
«Sto lavorando alla sceneggiatura, assieme a Edoardo De Angelis, di un film che lui stesso dirigerà, dedicato alla figura di Salvatore Todaro, comandante sommergibilista della Regia Marina italiana. La sua storia è meravigliosa. Un combattente che affondava le navi e poi salvava i naufraghi, contravvenendo alle regole impartite dall'ammiraglio tedesco Karl Dönitz: mai rischiare la vita del proprio equipaggio per salvare i nemici. Fu citato dall'ammiraglio Pettorino, all'inizio della folle estate dei porti chiusi. Lui, militare soggetto agli ordini dei suoi superiori, si permise di dire soltanto che noi italiani siamo il popolo che ha prodotto Salvatore Todaro».
 
Questo tema torna spesso anche nel suo romanzo: salvare le persone in mare.
«Sì è una cosa per la quale avevo perso il sonno, quando si è cominciato a criminalizzare apertamente chi cercava di salvare i naufraghi; ed è noto che mi sia molto esposto, in quella stagione lì, affinché questo stato di cose finisse».

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