Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Mattia Carratello: «Io, la musica, Sellerio e quelle chiacchierate con Camilleri»

Mattia Carratello
di Riccardo De Palo
5 Minuti di Lettura
Domenica 11 Agosto 2019, 21:18
«Il primo libro per me fondamentale fu Mary Poppins di P.L. Travers, quattro volumi di racconti estremamente gotici - e pieni di riferimenti letterari, da Keats a Shakespeare - che mi hanno introdotto a un certo gusto anglosassone; poi quello che ritengo sia il più riuscito dei romanzi italiani dell'Ottocento, Pinocchio, il più noto all'estero, il più riscritto; e, infine, a quattordici anni, Edgar Allan Poe. Ma il libro di Collodi è quello che mi ha maggiormente influenzato: ci sono vette di efferatezza incredibili, Pinocchio stesso muore due volte, è crudele con il padre, con la fata, mutila il gatto: un romanzo sconcertante. Se da bambino ti capita tra le mani un libro così, non smetti più di leggere».

Mattia Carratello, editor di narrativa per Sellerio, racconta com'è nata la sua passione. «All'Università ho scelto la letteratura per dedicarmi completamente alla lettura. Ho studiato parecchio e goduto moltissimo.»

Come ha iniziato?
«Grazie alle chance che l'ottima università pubblica italiana ci regala, durante il dottorato ho fatto ricerca a Chicago: mi ritrovai a leggere autori che non conoscevo - era il momento di Richard Powers, di David Foster Wallace e tornato in Italia ritrovai un vecchio amico di studi, Luca Briasco (oggi socio di Minimum Fax, ndr): stilammo una lista di autori americani e, incredibilmente, gli editori ci risposero: Sergio Fanucci accettò di creare una collana, Avantpop, ci fece entrare in casa editrice. Con lui abbiamo imparato molto».

E poi, nel 2004, Einaudi Stile Libero.
«Lì mi sono occupato soprattutto di narrativa straniera: con Angela Tranfo, editor della collana, abbiamo acquisito i diritti di tanti libri, e fatto qualche operazione curiosa, come L'incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon in una nuova traduzione o il recupero di Peyton Place di Grace Metalious, un romanzo molto popolare che divenne una famosa serie tv: mischiare i generi e le scritture è sempre stata una caratteristica della collana di Einaudi».

E poi anche quella casa editrice le è parsa stretta, è così?
«Nel 2006 sono andato da Neri Pozza, dove ho lavorato per cinque anni con Marcella Marini, una collega imprescindibile per la mia vita editoriale: da otto anni lavoro con lei da Sellerio, dove c'è un gruppo storico fortissimo».

Ora avete gli inediti di Camilleri...
«C'è il famoso capitolo finale di Montalbano, di cui si è favoleggiato e che esiste davvero, e il saggio sulla sua formazione di scrittore e sulla sua avventura linguistica, che esce a ottobre».

Ha mai detto a Camilleri: Questo capitolo non funziona?
«In Sellerio non ci ho mai lavorato, è stato sempre seguito da Floriana Ferrara, redattrice di lungo corso; Camilleri era capace di punte di perfezione elevatissime, e poi a lui potevi dire qualunque cosa: se era un rilievo intelligente lo faceva suo».

Che ricordo ha di lui?
«Quando ero in Neri Pozza avevamo creato un'antologia, La storia siamo noi, con vari autori italiani e io ebbi l'esperienza di confrontarmi con Camilleri e quindi, diciamo tra virgolette, di editarlo: ero preoccupato, non sapevo cosa fare; e invece trovai l'autore più generoso e brillante che abbia mai incontrato. Con lui ho scoperto che i grandi scrittori sono quelli con cui è più semplice lavorare. Poi mi ha fatto capire che il talento, qualunque talento, va coltivato e può crescere nel tempo: Camilleri ha iniziato ad avere fortuna come scrittore dopo i 65 anni, e poi Montalbano ha cambiato la sua vita, e quella dei lettori».

Lei è l'unico editor del panorama letterario italiano a essere, contemporaneamente, anche compositore.
«Ho iniziato a suonare la chitarra classica a 9 anni; la musica è rimasta sempre una passione a cui ho dedicato molto tempo. A 40 anni ho scritto le musiche di un film assieme a Stefano Ratchev - che allora aveva 23 anni - Pranzo di Ferragosto, un film molto fortunato di Gianni Di Gregorio. È iniziata così una carriera che non ho più abbandonato: assieme a Ratchev abbiamo scritto quasi cinquanta colonne sonore, tra serie tv, film, documentari. Oggi posso dire di avere avuto la possibilità di esprimermi in quelle che sono le due mie più grandi passioni. E l'editoria, per chi ama la letteratura, è come un parco giochi».

La musica ha influito sul suo lavoro di editor?
«Nel cinema, la musica può raccontare cose che non si vedono, o non vengono dette: grazie alla musica possiamo capire che una storia virerà verso l'horror anche se nella scena iniziale vediamo un innocente paesaggio. Questo me lo sono portato nell'editing, un'attenzione per le omissioni, per ciò che il narratore ha veramente a cuore e magari non ci ha detto. E poi mi si è acuito un certo orecchio, per il ritmo, per le ripetizioni».

Quali sono gli autori di cui è più fiero?
«Sono stato tra i primi a scrivere di David Foster Wallace, in una edizione di Einaudi Stile Libero de La ragazza con i capelli strani. Ma negli ultimi anni Marcella Marini e io, grazie all'intuito e all'apertura di un editore come Antonio Sellerio, abbiamo avuto la possibilità di pubblicare Ben Lerner, Sheila Heti, Hanya Yanagihara, Masha Gessen. E poi un romanzo a cui tengo molto, l'unico che racconta la vita dei cinesi in Europa, A modo nostro di Chen He. Ogni romanzo ha una funzione di scoperta, di mappatura di mondi; e Chen He rivela un intero universo. Pubblichiamo Yasmina Khadra, che ha scritto un romanzo notevolissimo su Gheddafi, L'ultima notte del Rais».

Quali autori sente più vicini a lei?
«Fabio Stassi, Giorgio Fontana, Giampaolo Simi, Alessandro Robecchi. Marco Malvaldi ha una intelligenza pirotecnica; con Antonio Manzini siamo molto amici, ci sentiamo, lo vado a trovare. Tra gli stranieri, Ben Lerner, Scott Spencer - autore di questo romanzo molto famoso, Amore senza fine, da cui il brutto film di Zeffirelli. Alicia Giménez-Bartlett, invece, è più di un'amica, è parte di noi. Non dimentichiamo che lavoro in una casa editrice strutturata come una famiglia, fatta di passione, di affetto, di rispetto e valori. Questo permette una libertà impensabile altrove».

La sfida più grande?
«Pubblicare un capolavoro letterario è paradossalmente più semplice; più difficile è scegliere un libro destinato al grande pubblico. Sellerio, grazie alla lezione di Sciascia e alla coraggiosa profondità editoriale e culturale di Elvira, è stato tra i primi a portare in libreria il giallo come letteratura. È una casa editrice che fa scelte molto nette, che ha coraggio. Per un editor è una meraviglia: possiamo ragionare su autori innovativi, complessi, pubblicarli, e magari avere un certo successo. Mi sembra che accada in Sellerio più che in molte altre case editrici».

Un esempio?
«Abbiamo pubblicato Una vita come tante di Hanya Yanagihara, un romanzo di 1100 pagine, molto riuscito e appassionante però scurissimo, al limite dell'horror. Siamo arrivati a quasi sessantamila copie».
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