Lampi
di Riccardo De Palo

La "sottomissione" di Houellebecq e la decadenza sexy dell'Occidente

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Sabato 24 Gennaio 2015, 19:44
Michel Houellebecq si può amare oppure odiare, ma di certo non è fatto per suscitare tiepide passioni. “Sottomissione”, l’ultimo suo romanzo, appena pubblicato da Bompiani, è già in cima alle classifiche. Mai libro fu più anticipato, più recensito, ancor prima della sua pubblicazione. Un fenomeno mediatico, piuttosto che letterario. Così, è inevitabile che chi credeva in una veemente difesa dell’Occidente illuminato (come avrebbe voluto la vulgata giornalistica), in una velenosa invettiva contro l’oscurantismo antidemocratico del mondo islamico, è stato decisamente deluso. Sin dall’inizio il professore di lettere della Sorbona protagonista del romanzo, uno specialista di J.K. Huysmans, non fa altro che prendere atto del fallimento, della morte della civiltà occidentale.  L’autore di “A ritroso”, bibbia del decandentismo, è la metafora sin troppo scoperta di questo epocale decesso, di questo crollo rovinoso. Ed è anche il vero co-protagonista di un libro che assomiglia, forse più di ogni altro, al suo autore.

Ma chi è François, l’io narrante di questo lungo monologo? Un uomo che ha da poco passato la quarantina, con lo stesso carattere spento che aveva in gioventù, molto dedito all’alcol, ossessionato da un solo autore e quasi rassegnato agli addii delle sue amanti studentesse. Compreso l’ultimo, quello dell’ebrea Myriam. Un signore funestato dalle malattie, profondamente triste, che non ha neppure il coraggio di togliersi la vita. E che si identifica, il nome è una pista ovvia, con il suo paese di origine.

Houellebecq immagina la Francia nel 2022, in cui dopo la rielezione di un presidente socialista e un nuovo quinquennato disastroso, il voto del primo turno per l’Eliseo consegna al ballottaggio due candidati improbabili: quello dell’estrema destra, Marine Le Pen, e quello dei Fratelli Musulmani, Mohammad Ben Abbes. Il primo gode (anche nella realtà di questi giorni) di un grande seguito politico, mentre il secondo è totalmente frutto dell’immaginazione dell’autore de “Le particelle elementari”. La crescita demografica dei musulmani di Francia può anche far pensare a un esito simile; ma si tratta pur sempre di una provocazione, che sembra fatta apposta per rimestare nei timori dell’uomo della strada, nell’intolleranza inconfessata del Paese di Voltaire. Parigi è scossa da violenze sottaciute, da scontri di piazza che rimangono sullo sfondo. Come per favorire l’esito impensabile delle presidenziali: l’ascesa di un leader musulmano, vero uomo forte del Paese, che sceglie come premier il contrario di Richelieu, un fantoccio incarnato dal centrista Bayrou.

François prende il suo suv e lascia Parigi, per evitare le violenze di piazza che gli sembrano ormai inevitabili.

Arriva nel Sud-Ovest della Francia, dove i segni delle razzie e degli scontri sono più flebili, ma sempre presenti. Percorre strade deserte, in un Paese che sembra in preda al panico e incapace di reagire. Come l’autore, verrebbe da dire. François è solo (Myriam è scappata per tempo in Israele), e la meta di tanto peregrinare si rivela alla fine Rocamadour, un borgo medievale di poche centinaia di anime, che ospita una famosa Madonna nera, con un Gesù bambino che “sembra un re”, a simboleggiare il massimo fulgore della cristianità occidentale. Il protagonista si commuove, si mette a recitare i versi di Péguy che parlano di “guerre giuste”; ma la spiritualità non lo smuove. All’opposto di Huysmans, che entrò in convento, Houellebecq comincia a vedere nell’Islam un esito non solo inevitabile, ma benvenuto. Il ritorno a Parigi è surreale, con negozi di biancheria intima chiusi per il moralismo imperante e gli abiti delle fanciulle sempre più castigati (ma come è possibile, in così poco tempo?). François scopre che la Sorbona è ormai stata islamizzata (ma come? La stessa Università sede di tante manifestazioni del 68?)  e che lui stesso è stato costretto alla pensione. Lo riempiono di soldi, ma è pur sempre un ritiro forzato. Pian piano, grazie all’opera di proselitismo del nuovo rettore (che presto sarà ministro), in una Francia che torna a intravedere la grandeur, e a sognare il ritorno dell’Impero, si fa strada l’idea di conversione all’Islam. Ma anche qui, quanti episodi improbabili. L’Europa (in cui al centro dell'azione torna improvvisamente la Francia) che guarda a una Unione Mediterranea, come avrebbe voluto Sarkozy.  E soprattutto, quanto alcol che scorre a fiumi, persino alle feste organizzate dai sauditi. Possibile che il meretricio sia ancora ampiamente tollerato nella Francia di Ben Abbes, in cui le donne acconsentono (dopo decenni di battaglie e di femminismo) a mettere da parte la carriera e gli abiti scollati? Il protagonista del libro ricorre a prostitute, racconta ampiamente ciò che fa con loro, così come le incursioni nella pornografia, e intanto assiste al ritorno del patriarcato. Un suo vecchio pallino. Si sente tentato dalla poligamia ormai legalizzata, che gli permetterebbe di giacere con fanciulle servizievoli e adoranti. La “sottomissione” del titolo diventa così l’esito naturale a cui devono tendere i conservatori. La destra non vorrebbe forse ridimensionare il ruolo delle donne, imporre la morale, e restaurare l’orgoglio nazionale? Cosa c'è di meglio, dunque, che diventare musulmani? Houellebecq ha il pregio di costringere il lettore a pensare (quale autore ci riesce ormai?). Anche quando la stessa idea di pensare diventa sgradevole. Ma il meccanismo che costruisce per arrivare a questo risultato appare mal architettato, pieno di falle. E, soprattutto, lo scenario che racconta sembra fatto apposta per assecondare le sue stesse debolezze. L'ondata di proteste in difesa della libertà di espressione (l'attentato a Charlie Hebdo è avvenuto proprio il giorno della pubblicazione del romanzo) sembrano già smentire un futuro simile a quello immaginato da Huouellebecq. La libertà non è un valore che si abbandona a cuor leggero.

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