Lampi
di Riccardo De Palo

"La ragazza del treno", diabolico thriller che ha sedotto Stephen King

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Martedì 18 Agosto 2015, 11:17
 Difficile ripetere un esordio narrativo altrettanto fortunato. Stephen King che dice di «essere rimasto sveglio la notte» (lui!) per leggere questo «grande romanzo di suspense». Le prime centomila copie volatilizzate in tre settimane. Due milioni di libri venduti negli Stati Uniti in cinque mesi. Ben 45 editori nel mondo che ne comprano i diritti. La Dreamworks che si appresta a girare un film con Emily Blunt come protagonista. Se esiste un caso letterario di questa prima metà dell’anno, questo è La ragazza del treno, opera prima della britannica Paula Hawkins, pubblicata in Italia da Piemme (e naturalmente subito in classifica). The Girl on the Train è un thriller anomalo, che deve molto al cinema e ai classici del genere, non solo britannici. Ma è anche una storia assolutamente particolare. Viene raccontata, a turno, dalle tre donne protagoniste. Così, il lettore è costretto ad assumere il loro punto di vista, riempiendo i vuoti della narrazione con il contagocce. E il risultato è un libro che si beve come un cocktail ghiacciato e che “corre” - letteralmente - come un treno. Rachel è una donna sulla trentina, divorziata e già sfiorita, tendente all’alcolismo. La sua vita va a rotoli e ogni giorno (per non rivelare alla coinquilina Cathy che ha perso il lavoro) percorre lo stesso percorso ferroviario, dall’estrema periferia verso Londra, come se stesse veramente andando in ufficio. Ogni giorno, si siede accanto ad altri pendolari e vede passarle davanti, al finestrino, la casa che condivideva con il marito. Come La finestra sul cortile, ma siamo in treno. Un altro palazzo vicino all’appartamento che ha ormai perduto la colpisce particolarmente. Perché lì vive una coppia di estranei che le ricordano gli anni in cui anche lei era felice. O credeva di esserlo. In una casa identica alla sua, in quei sobborghi in cui crescono come funghi villette a schiera e condomini fotocopia. Rachel comincia a immaginare, giorno dopo giorno, la loro vita. A familiarizzare, da lontano, con loro. Li chiama persino con nomi inventati. Finché non vede che la ragazza che sembrava racchiusa in un ideale di perfezione bacia un altro sul terrazzo. E qui si schiude una catena di eventi che la porteranno a conoscere i suoi personaggi immaginati molto da vicino, e ad essere coinvolta in un delitto dai contorni misteriosi. Qualcuno potrà forse ricordare quel film, One Hour Photo, in cui Robin Williams interpretava un uomo timido e solitario, Sy, addetto allo sviluppo foto in un grande magazzino, che si affeziona alla famiglia che viene a portargli i rullini, al punto da portarsi a casa una copia da rimirare, come se fosse un loro congiunto. La sua ossessione viene scoperta, il suo capo lo licenzia. Finché non si scopre - in alcune immagini - che il “marito modello” della sua famiglia perfetta tradisce la moglie, e Sy attua la sua vendetta... Rachel, in qualche modo, non solo si vendica, ma raggiunge l’espiazione. Come se Anastasia Steele decidesse di sottomettere il suo Grey. Siamo alla periferia del mondo, ma solo a un’ora da Londra. Il punto di vista passa velocemente da Rachel ad Anna, la donna che l’ha soppiantata nel ruolo di moglie, e a Megan, la misteriosa ragazza che sembra felice sul terrazzo di fronte. È un mondo di passioni, un po’ alla sorelle Brontë, ma l’incubo della ragazza sul treno è fatto di alienazione, di autostima ridotta al lumicino. Le sue “cime tempestose” sono ridotte a scenari di periferia, sottopassaggi, bevute furtive, fermate di stazioni. Poi, pagina dopo pagina, i vuoti si riempiono, il quadro si fa più chiaro. E il drammatico epilogo assume i contorni di una diabolica catarsi. L’esatto contrario di Cinquanta sfumature di grigio.
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