Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

"L'unica storia" di Barnes, quando il primo amore è una discesa agli inferi

Percy Shakespeare, Tennis, 1937, oil on canvas, Private Collection.
di Riccardo De Palo
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Martedì 18 Settembre 2018, 18:07
"L'unica storia" di Julian Barnes riporta alla mente la love story di Emmanuel Macron e della sua insegnante Brigitte (oggi première dame di Francia); ma, nel libro dello scrittore britannico, galeotto fu un campo da tennis; e il protagonista non diventa un uomo di potere, bensì un oscuro perdente. Lawrence Osborne scrive sul New York Times che se la vita inglese è un «lungo e lento mal di denti», come amava ripetere Durrell, Barnes è il suo principale dentista; ma il modo in cui l'autore si accosta ai capricci e ai misteri dell'amore, semmai, è più degno di uno scrupoloso studente di anatomia.

«È meglio amare di più, e quindi soffrire di più; oppure amare di meno, e patire di meno? Questa è la sola vera domanda», scrive Barnes nell'incipit del suo ultimo romanzo (da martedì nelle librerie), con retorica shakespeariana. «Molti di noi hanno una sola storia da raccontare». Non perché accada poco nelle nostre vite, ma perché, spesso, c'è un solo evento «degno di essere raccontato»: quello che ci ha segnati per sempre.
L'unica storia in questione - che avrebbe punti in comune con la stessa biografia dell'autore - viene raccontata prima dal protagonista in prima persona, poi in seconda, e infine in terza, come se dal proliferare dei punti di vista possa risultare un quadro il più obiettivo possibile. Ma l'amore che sboccia tra il diciannovenne Paul Casey e la quarantottenne Susan Macleod, sposata e con due figlie, in un circolo frequentato da scialbi sportivi - indistinguibili Hugo o Caroline - ha da subito il marchio dell'ineluttabilità, del Maelstrom in cui si finisce risucchiati dentro, tra un palleggio a rete e un doppio misto.

Paul ricorda il villaggio a Sud di Londra in cui, cinquant'anni prima, si è consumato l'incantesimo; Susan appartiene a una generazione perduta, «fuori dai giochi» anche se ha vinto una guerra; ed ha un marito alcolista e manesco, oltre che una predisposizione per i colpi di testa. Se un modello letterario va ricercato, bisogna pensare a "L'educazione sentimentale" di Gustave Flaubert; Barnes ha dedicato al maestro francese un famoso romanzo ("Il pappagallo di Flaubert"), ed è facile scambiare Paul con Frédéric Moreau, che vedeva in Madame Arnoux (Susan) un monumento di bellezza e di perfezione. Dopo il romanzo su Sostakovic, "Il rumore del tempo", Barnes torna ai temi del suo esordio, "Metroland", e del libro che nel 2011 gli ha fruttato il Man Booker Prize, "Il senso di una fine". L'autore dimostra una visione del mondo particolare - tutta ombre nere e fatalismo - che ci può trovare d'accordo (o meno). Ma, come una dolente litania, la narrazione si avviluppa attorno a un unico evento, a un'unica coazione a ripetere; e la scrittura, invocata come terapia, diventa la ragnatela (tessuta in magistrale lingua inglese) in cui si finisce invischiati.
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