È come se gli sceneggiatori di "Lost" avessero adattato per una serie tv le storie di fantasmi giapponesi. Il protagonista è un anonimo artista trentaseienne, specializzato in ritratti, che dopo sei anni di matrimonio viene piantato dalla moglie e comincia a girovagare senza meta. «Guardate abbastanza in profondità dentro qualsiasi persona e troverete sempre qualcosa che brilli al suo interno». Il tema dello shining, del luccichio, è onnipresente; ed è proprio al film di Kubrick (e soprattutto a Stephen King) che bisogna guardare, quando il pittore accetta di vivere in una casa appartenuta a un artista, in una zona collinare a Sud di Tokyo, in cui presto si verificano fenomeni soprannaturali. Nella soffitta il protagonista si imbatte in un quadro che ritrae la famosa scena del Don Giovanni di Mozart: l'assassinio del commendatore, appunto. Strano come i ritratti demoniaci siano sempre chiusi in qualche solaio, da Oscar Wilde in poi.
Gli ingredienti per il thriller ci sono tutti; e il suono di un campanaccio che si ode nottetempo non fa che accrescere la componente gotica del romanzo. Ma a volte si cambia troppo spesso registro, e l'azione rallenta; oppure si scivola nel grottesco: l'eloquio del Commendatore che si materializza nottetempo ricorda le frasi al contrario del maestro Yoda di Guerre Stellari. È come se, alla ricerca del romanzo perfetto, l'autore abbia esagerato con gli ingredienti: erotismo, ghost story, racconto di formazione.
Il Gatsby del romanzo è un piacente signore dai capelli bianchi, Menshiki, che in giapponese vuol dire: evita i colori. Attraverso la sua richiesta di un ritratto la vita del pittore senza volto cambierà per sempre. Come negli altri libri di Murakami, la musica è importantissima: da Der Rosenkavalier di Richard Strauss alla Rosamunde di Schubert. Ma ciò che conta è quello che nell'arte «non viene mostrato»; e il lettore si ritrova a voltare pagina, come in una maratona di binge watching in tv: non alla ricerca di quei segreti che «tutti abbiamo ma non possiamo rivelare» (e che conosciamo già), ma della catena di eventi, e di idee, che ci hanno portato a essere come siamo. Perché l'importante, in fondo, è crederci.
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