Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Da Totò a Flaiano, le battute fulminanti (e più feroci) degli italiani

Totò in "Miseria e nobiltà"
di Riccardo De Palo
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Lunedì 11 Giugno 2018, 14:43 - Ultimo aggiornamento: 20:18
«Il sonno della ragione genera ministri»; scriveva Arbasino. La differenza tra l'umorismo degli inglesi e quello degli italiani è che i primi lo usano sempre, anche in contesti apparentemente seri; mentre noi tendiamo a riservarlo per occasioni speciali. A volte possiamo non ridere alle battute spiazzanti dei britannici; ma in quanto a ferocia non siamo secondi a nessuno. Per dirla con Flaiano, l'italiano «teme la morte, ma non quella degli altri». Siamo convinti (di nuovo con Arbasino) che all'inferno «ci vada chi ci crede». E se qualcuno prova a scimmiottare il gusto altrui, finisce come Alberto Sordi: «Maccarone, m'hai provocato e io te distruggo». Non si diventa amanti della mostarda dalla sera alla mattina.

IL DIVO GIULIO
Campione delle battute di spirito italiche di alto livello è stato certamente Giulio Andreotti: il potere che logora «chi non ce l'ha»; il «pensar male del prossimo», che costituisce pur sempre peccato, ma coglie spesso nel segno; l'umiltà, quella virtù stupenda che cessa di essere tale quando «si esercita nella dichiarazione dei redditi». Il Divo Giulio è stato lucido, e implacabile, fino all'ultimo. Quando veniva convocato per l'ennesima accusa, sbottava: «A parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente di tutto».
Ma quali sono le costanti, e le radici, dell'umorismo italiano? Volendo generalizzare, gli inglesi sono più sottili, gli americani e i tedeschi più salaci, i francesi più sofisticati. Noi siamo, semplicemente, più diretti. La battuta (come lascia intendere l'etimo) è un colpo, è qualcosa che ci piomba addosso come un pugno. «Papà, perché mi chiamavano Cita? - chiede la bruttissima Mariangela a papà Villaggio/Fantozzi - Chi è Cita?»
«Eh, beh, Cita Hayworth! Era una bellissima attrice americana».

PARADOSSI
Non che manchi il gusto del paradosso: «La riunione ministeriale per studiare il modo di debellare la piaga dell'assenteismo è stata rinviata perché non c'era nessuno», scrivevano Amurri & Verde. «A me non mi fanno paura loro che ci vonno ammazzà, mi fate paura voi che ci dovete difendere!», diceva Nino Manfredi in Spaghetti House. Ma secondo Achille Campanile (cugino, peraltro, di Vittorio De Sica), l'umorismo non è altro che «una serie di vendette esercitate da una persona di spirito».Luigi Pirandello, che al tema dedicò un intero saggio, sosteneva che l'opera comica stimola «il sentimento del contrario». E spiegava: «Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere».

SARCASMO
Il sarcasmo è spesso più utilizzato, a discapito della sua variante più nobile, l'ironia. La corazzata Potemkin sarà pure una «boiata pazzesca»; ma a volte anche la battuta nasconde una filosofia. È il caso della celebre domanda «siamo uomini o caporali?» di Antonio De Curtis (vale a dire Totò), che la vedeva così: «Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza la minima soddisfazione. I caporali sono coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano». Storica la sua risposta a chi gli chiedeva se avesse viaggiato: «Ho fatto il militare a Cuneo».

Il sesso è da sempre l'argomento principe di ogni barzelletta del Belpaese; e la suocera il bersaglio privilegiato di ogni battuta. «Quando Dio cacciò Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre - scrive Antonio Amurri - comunicò all'uomo che si sarebbe guadagnato il pane col sudore della fronte, e alla donna che avrebbe partorito con dolore. Non poté, causa la particolare situazione, aggiungere quella che sarebbe stata la punizione più sottile e perfida: E tutti e due avrete una suocera»

Sotto le lenzuola (coniugali e non) può succedere qualsiasi cosa. «Le donne più esperte, durante l'atto sessuale possono riuscire a raggiungere la cucina; scolare i broccoletti sul fuoco e rinfilarsi sotto le coperte. Ovviamente, tutto questo senza che l'uomo si sia accorto di nuuulla», diceva Anna Marchesini nel ruolo (immortale) della sessuologa Merope Generosa. Ennio Flaiano, vero mago della battuta, annotava: «La ragazza mi piace. È bella ricca, giovane, colta. Nell'annuncio accennavate a un piccolo difetto fisico. Di che si tratta?» «È incinta. Oh, ma pochissimo».

A volte è la stessa lingua italiana ad essere presa di mira. «Che acclamanza, grazie per questa ovulazione che mi attribuite!», dice Checco Zalone agli spettatori che lo applaudono a Zelig; mentre Fracchia/Fantozzi esclama: «Mi si sono intrecciati i diti, me li streccia?» «Facci lei». I neologismi di Totò - «bazzecole, quisquilie, pinzellacchere» - sono diventati proverbiali. Così come i tormentoni del tipo «Ma mi faccia il piacere».

TORMENTONI
Un altro genere di tormentone è quello pubblicitario. Soltanto con le frasi create da Marcello Marchesi per Carosello si potrebbe creare un dialogo con un senso compiuto: «Con quella bocca può dire ciò che vuole». «Il signore sì che se ne intende». «Non è vero che tutto fa brodo, sa?». «È il brandy che crea un'atmosfera». «Già, contro il logorio della vita moderna»

Occhio, però, perché la freddura è sempre in agguato. Un esempio di Campanile: «Dove vai?» «All'arcivescovado. E tu?» «Dall'arcivescovengo.»

«La persona stupida è il tipo di persona più pericolosa che esista», sosteneva Carlo M. Cipolla, in un suo celebre saggio; ma, come scriveva Andrea Ballarini, «se invece pensate di non aver bisogno di consigli, allora cominciate a preoccuparvi: perché nessuno è immune dai cialtroni. Essi vivono fra noi e, talvolta a nostra insaputa, sono noi». Bene, sono proprio queste le categorie più tartassate. «La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia», sosteneva Flaiano. O per dirla con Gigi Proietti: «Caligola è nome da omo, Caligola, come Agrippina. A gnorante!»
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