Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

A tu per tu con Bret Easton Ellis: «Io, il cinema, il mio primo film horror da regista, e il romanzo che voglio scrivere»

Bret Easton Ellis
di Riccardo De Palo
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Sabato 19 Ottobre 2019, 16:22 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 00:29
«Sono uno scrittore, non un robot conformista: ho le mie opinioni, e per questo spesso ho pagato un prezzo». Bret Easton Ellis arriva all'appuntamento, in un albergo a due passi da Trinità dei Monti: la statura imponente, la polo nera e la tuta da ginnastica, l'espressione indecifrabile, come uno dei suoi personaggi. «Un tempo dicevi quello che pensavi e tutto andava bene. Oggi non è più così: siamo piombati nella cultura del cancel, della messa la bando di chi la pensa in maniera diversa. La libertà d'espressione è a rischio». Ellis non tornava in Italia da dieci anni: Einaudi ha appena pubblicato Bianco, il suo appassionato memoir che ha diviso l'America. E domani, domenica 20 ottobre (ore 15, Teatro Studio Gianni Borgna) sarà uno degli ospiti d'onore della Festa di Roma, per gli Incontri Ravvicinati all'Auditorium.

Molti dei suoi romanzi, da Meno di zero a American Psycho, sono diventati dei film. Ma tutta la sua opera è fortemente influenza dal cinema, non trova?
«American Gigolò di Paul Schrader ha sicuramente contribuito a creare la mia sensibilità, la mia estetica. Non che fosse un film memorabile, ma c'era un certo distacco, un certo minimalismo, che mi hanno influenzato molto, quando ero giovane. Ho raggiunto la maggiore età negli anni Settanta, e mi ha colpito molto il cinema di quegli anni: Nashville di Robert Altman, proprio perché non c'era una trama dominante (o non c'era affatto), ma con un cast corale, di grande spessore. Sia Meno di zero che Le regole dell'attrazione devono molto a quel film. Ma di certo all'Auditorium parlerò anche di Shampoo (di Hal Ashby, 1975, ndr), che ha avuto importanza anche per The Canyons, il film di Paul Schrader di cui scrissi la sceneggiatura. E poi, certo, Carrie - Lo sguardo di Satana, di Brian De Palma; e Manhattan, di Woody Allen».

Tornerà a scrivere romanzi?
«Negli ultimi dieci anni ho lavorato più che in qualsiasi altro periodo della mia vita: una trentina di sceneggiature, per lo più per la televisione. Ora finalmente farò il mio film horror, scritto e diretto da me, il progetto è in fase avanzata di pre-produzione. Sa, è un mondo diverso, bisogna aspettare molto per reperire i finanziamenti. Ma c'è anche un romanzo che mi sussurra all'orecchio, che mi parla all'improvviso, magari mentre sto guidando in autostrada. Prima mi chiedevo: è giusto scriverne? La gente li legge? Oggi sono quasi certo che lo farò. Ma prima, c'è il progetto di un audiolibro: un testo pensato per essere ascoltato e non per essere letto. Bianco ha riattivato in me il gusto e la voglia di scrivere».

Il suo libro ha scatenato molte polemiche.
«Il mio editore sapeva di questo rischio, ma per fortuna non ha avuto ripensamenti come è successo ad American Psycho. Adesso esiste un elenco di regole non scritte, di political correctness, applicate in modo spietato. Mi revocano l'invito a una festa? Perdo qualche lavoro? Non importa. Faccio lo scrittore, questa è la mia voce autentica».

La sua posizione sui millennial, la Generation Wuss (Generazione degli inetti), ha fatto molto rumore. La dipendenza dai like genera mostri?
«Ogni generazione si mette in contrasto con quella precedente. La mia, la Generation X, ha messo in campo un certo distacco ironico, una freddezza che a volte sfiorava il nichilismo. Adesso i millennial (e io li conosco bene perché ho vissuto con uno di loro) reagiscono alla nostra ironia. Hanno questa ossessione di piacere - magari dovuta alla precarietà - di ricevere like. Ai miei tempi nessuno si è suicidato per la vergogna, dopo avere letto qualcosa sul proprio conto».

Cosa pensa di Peter Handke, il vincitore del Nobel attaccato per le sue posizioni filo-serbe?
«Il comitato del Nobel ha fatto bene a premiarlo per il suo lavoro artistico, di portata notevole, senza pensare nemmeno per un istante alle sue posizioni politiche, al fatto di avere presenziato al funerale di Milosevic. Sono contento che il premio sia andato a lui e non a una come, per dire, Greta Thunberg. Ma questo non so se lo deve scrivere».
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