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La guerriera uigura e il suo libro contro la Cina

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Mercoledì 29 Aprile 2009, 13:07
Sta per uscire in Italia un libro che farà discutere: l'autobiografia di Rebiya Kadeer, realizzata con la giornalista tedesca Alexandra Cavelius (in libreria dal 7 maggio). E anche lei, l'eroina del popolo uiguro, da sempre in prima linea a denunciare le violazioni dei diritti umani e l'oppressione della sua gente da parte delle autorità cinesi, è in arrivo in Italia. Lei che ha vissuto sulla propria pelle la durezza della prigione e dal 2005 è in esilio negli Stati Uniti, con 6 dei suoi 11 figli, lei che è fiera del suo essere musulmana, che per le Olimpiadi di agosto ha lanciato strali su Pechino, accusando il governo centrale di voler annientare i suoi dello Xinjiang, lei che è diventata un simbolo con la sua testimonianza coraggiosa e che per ben tre volte è stata candidata al Nobel, conseguendo nel 2004 il premio Rafto per i diritti umani. Viene a presentare “La guerriera gentile” (editore Corbaccio, 22 euro), quasi 400 pagine di una storia che mette i brividi, di lei che pur facendo la lavandaia è diventata imprenditrice e miliardaria. “Una donna in lotta contro il regime cinese”, la presenta la dicitura sulla copertina del libro di fianco alla sua foto. Certamente una donna forte, coraggiosa, anche dura, nel suo voler essere “la madre di tutti gli uiguri, la medicina che lenisce le loro sofferenze, il fazzoletto che asciuga le loro lacrime, il tetto che li protegge dalla pioggia”. E' una sorta di missione, la sua, considerato l'atteggiamento che il governo di Pechino ha da sempre con queste minoranze giudicate “pericolose”, gli uiguri come i tibetani, nelle loro Province autonome ai confini dell'Impero, da tenere d'occhio e placare nelle loro “smanie” d'autonomia e d'indipendenza. Rebiya Kadeer ha pagato, e paga. Paga il conto salato di una vita spesa per affermare il rispetto dei diritti umani contro la politica dominante e a tratti spietata di una potenza mondiale come la Cina. Paga le persecuzioni, anche a danno dei suoi figli. Paga l'aver dovuto lasciare la sua terra, come l'aver dovuto ricominciare tutto da capo troppe volte per poter dimenticare. Paga il suo essere donna, pur traendo anche da questo le risorse straordinarie che le hanno sempre consentito di non arrendersi e di combattere. Per sè, per i suoi figli, per la sua famiglia, per il suo popolo. Una voce dissidente, fuori dal coro. Una voce che grida e spera di essere ascoltata perchè, come scrive nel libro, “da quando ho memoria il mio popolo ha conosciuto soltanto la sofferenza e il giogo...”. E forse il domani, se si combatte per questo, potrà essere migliore. 
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