Corri Italia, corri
di Luca Cifoni

I voucher e la politica che studia poco i dati

3 Minuti di Lettura
Martedì 20 Dicembre 2016, 18:03 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 14:03
Il no al referendum costituzionale sembra aver travolto anche il Jobs Act, la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi ed entrata in vigore nel corso del 2015. Sono in molti a vedere nel malcontento sociale e lavorativo uno degli elementi che più hanno condizionato il voto del 4 dicembre: se prima di quella data il presidente del Consiglio non si stancava di ripetere che quel provvedimento ha avuto effetti quasi miracolosi sull'occupazione, ora si sente decisamente più forte la voce di chi sostiene che la riforma ha portato invece solo precarietà e licenziamenti.

​Enunciate in forma così sommaria, entrambe le tesi sono insostenibili. L'ex presidente del Consiglio accreditava al proprio esecutivo 600 mila posti in più; tuttavia analizzato un po' più da vicino l'aumento dell'occupazione negli ultimi anni va collegato piuttosto ad una serie di fattori diversi: l'aumento dell'età della pensione accompagnato da un certo scivolamento demografico, i potenti (finche lo sono stati) incentivi alle assunzioni, voluti sempre dal governo ma in un provvedimento distinto dal Jobs Act, una minima ripresa dell'economia. La riforma delle regole del lavoro c'entra poco, se non altro perché ha avuto poco tempo di dispiegarsi.

​In parte per lo stesso motivo, non si può dire che il Jobs Act abbia portato ad un forte aumento dei licenziamenti disciplinari: se effetto c'è stato non può essere certo sulla generalità dei lavoratori - ai quali si riferiscono le statistiche citate in questi giorni - ma su quelli assunti a partire dal marzo 2015 con il nuovo contratto a tutele crescenti. L'altro grande tema del dibattito sono i voucher, i buoni per il lavoro accessorio il cui utilizzo, cresciuto a dismisura negli ultimi anni, viene citato come forte indizio del fatto che si tratti in realtà di sfruttamento del lavoro. Le norme in materia sono cambiate molte volte dal 2003, ma gli interventi più rilevanti sono stati quelli che tra il 2012 e il 2013 (quindi prima del governo Renzi) hanno sostanzialmente allargato il ricorso ai voucher a tutti i settori, eliminando anche il vincolo per cui la prestazione lavorativa doveva essere occasionale.

​La finalità originaria di questo strumento era far emergere e portare nell'ambito della contribuzione previdenziale lavoretti come ripetizioni scolastiche, giardinaggio, attività agricole stagionali. Ma dopo i cambiamenti normativi, è rimasto come unico limite quello dato dal tetto al compenso complessivo annuo del lavoratore (5.000 euro poi saliti a 7.000, di cui al massimo 2.000 dallo stesso committente). Che i voucher stessero diventando qualcosa di diverso è stato chiaro abbastanza presto. Nel maggio 2015 il presidente dell'Inps Boeri ne aveva parlato come la "nuova frontiera del precariato", almeno in termini di rischio. Ma proprio pochi giorni dopo, senza preoccuparsene, il governo approvava un decreto legislativo (in attuazione proprio del Jobs Act) che confermava in pieno l'impostazione "universale". Poi nel settembre di quest'anno, di fronte a numeri ancora crescenti, lo stesso esecutivo è corso ai ripari approvando un provvedimento per rendere più tracciabili i buoni ed evitare abusi (il committente deve avvertire l'ispettorato del lavoro non più di 60 minuti prima della loro attivazione, via sms o email). Ora nuove modifiche sarebbero alle porte: ci si può solo augurare che siano meditate sulla base di dati ed analisi, che ormai non mancano.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA