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di Luca Cifoni

Tornare indietro sulle pensioni? Almeno sapendo perché

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Venerdì 9 Gennaio 2015, 11:11
Anche se finora i risultati concreti sono limitati, sta crescendo in questi mesi il consenso per una revisione delle regole per andare in pensione. A parte il referendum proposto sull'intera riforma Fornero (su cui nei prossimi giorni si deve pronunciare la Corte costituzionale), anche dall'interno del governo arrivano voci favorevoli ad un qualche allentamento dei requisiti, resi molto più severi a partire dal 2012. La via indicata è in genere quella della "flessibilità"; oppure si parla di "manutenzione" della riforma, intendendo che il suo impianto non va rimesso in discussione in toto ma piuttosto aggiustato in alcuni punti. Non va dimenticato che il nostro Paese negli ultimi vent'anni ha fatto almeno tre importanti riforme della previdenza, senza contare revisioni minori ma di impatto non trascurabile. All'attuale assetto, considerato a livello internazionale una garanzia di solidità delle finanze pubbliche italiane, siamo arrivati anche attraverso passaggi complicati e dolorosi come quello che ha coinvolto i cosiddetti (impropriamente) "esodati". Dunque servirebbero buone ragioni per tornare ancora sulla materia e soprattutto per invertire - pur se parzialmente - la direzione di marcia. Porre il tema della flessibilità basata sulle scelte di vita individuali è sensato ma il punto delicato è come fare in modo che alle eventuali uscite anticipate corrisponda una effettiva riduzione della prestazione pensionistica tale da garantire l'invarianza di spesa per lo Stato. In più c'è un problema di tempistica: anche con regole che garantiscano questo bilanciamento si avrebbe probabilmente un effetto di maggiore spesa iniziale, per l'uscita contemporanea di molti lavoratori e lavoratrici in precedenza bloccati. Tutto ciò andrebbe naturalmnete gestito nell'ambito dei vincoli contabili europei. Può darsi invece che l'idea sia un po' diversa: usare la possibilità di andare in pensione un po' prima come ammortizzatore sociale di fronte ai perduranti effetti della recessione o come mezzo per favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Quest'ultimo obiettivo appare di dubbia realizzabilità, sulla base dell'esperienza storica, soprattutto per il lavoro privato. Quanto alla pensione come ammortizzatore, non può certo essere una soluzione generalizzata, a meno di contraddire tutto il percorso riformatore degli ultimi anni. Sono già stati analizzati invece strumenti più circoscritti come il cosiddetto "prestito pensionistico": il lavoratore accede a un trattemento ridotto due o tre anni prima di maturare i requisiti e poi lo restituisce a valere sulle rate di pensione piena. Anche in questo caso però resta il vincolo di non aumentare la spesa complessiva.
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