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di Luca Cifoni

Statistiche, revisioni e quei 6 miliardi di imposte sparite

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Mercoledì 2 Marzo 2016, 20:14 - Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 18:07
Quella del primo marzo è stata una giornata densa di statistiche ma anche di revisioni dei dati passati. L'affinamento a posteriori dei risultati, sulla base di informazioni più consolidate, è una prassi normale per gli istituti di statistica; le correzioni a volte sono minime, a volte più consistenti.  Nel caso specifico  l'Istat ha rivisto al ribasso il prodotto interno lordo del 2014, il che ha portato ad una variazione annuale più alta dello stesso Pil nel 2015 (0,8 per cento invece di 0,6-0,7) ed ha corretto in modo significativo, all'indietro, i dati mensili su occupati e disoccupati: il nuovo quadro evidenzia una crescita molto più sostenuta dei lavoratori a tempo indeterminato ed è apparentemente più coerente con i dati di fonte amministrativa di Inps e ministero del Lavoro, anche se allo stesso tempo segnala che l'aumento di occupazione è tutto tra gli ultracinquantenni.

Di queste due revisioni si è molto discusso anche perché hanno permesso al governo di evidenziare risultati più favorevoli. Ma ce n'è anche una terza che riguarda invece i conti pubblici, per il periodo 2012-2014: in particolare nell'ultimo anno entrate e uscite sono state ritoccate rispettivamente per 836 milioni e 1,1 miliardi. Più che la revisione in sé, colpisce però il divario tra i numeri del conto delle amministrazioni pubbliche calcolati dall'Istat per il 2015 e quelli stimati dal governo nell'ultimo documento ufficiale, la Nota tecnico-illustrativa alla legge di Stabilità, elaborata a dicembre e pubblicata solo a febbraio. Le differenze sono macroscopiche: circa 7 miliardi di entrate complessive in meno e quasi altrettanti di uscite, con il saldo (detto indebitamento) che peggiora di "soli" 280 milioni restando però come per magia al 2,6 per cento del Pil.

Tra le entrate salta agli occhi un calo di oltre 6 miliardi di quelle tributarie, con le imposte dirette che peggiorano rispetto alle stime di circa 6,6 (compensate in piccola parte dalle indirette). Incidentalmente, ciò fa sì che la pressione fiscale scenda dal 43,6 per cento del 2014 al 43,3 per cento, invece di crescere al 43,7 come previsto. Ma il punto non è tanto questo: ci si potrebbe piuttosto domandare come mai il governo non sapesse a fine anno che il gettito fiscale era così clamorosamente al di sotto delle previsioni.

Certo è possibile in teoria che i nuovi valori siano solo il risultato di una ricomposizione tra le varie voci, ma non è chiaro ad esempio se l'assetto del 2015 dipenda dalle revisioni degli anni precedenti. Alcuni dati sono soprendenti anche dal lato della spesa: ad esempio gli oltre 3 miliardi di minore spesa per le retribuzioni dei dipendenti pubblici (per il 2014 la voce era stata rivista al ribasso per meno di 200 milioni): di nuovo appare sorprendente che questa grandezza sia risultata così diversa da quella attesa dal governo. Ne sapremo di più tra circa un mese con la pubblicazione del Documento di Economia e Finanza.

Aggiornamento 4 marzo: dai dati sul Pil trimestrale diffusi dall'Istat emerge che la revisione del Pil 2014 a prezzi costanti era stata già fatta a settembre 2015 per quanto riguarda il prodotto interno lordo in termini "grezzi", mentre è stata resa nota a marzo quella in termini destagionalizzati e corretti per i giorni lavorativi.
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