L'astensione, anche quella volontaria e finalizzata a far saltare la consultazione, è una scelta pienamente legittima: nel senso che non è vietata da nessuna legge. E d'altra parte, sebbene l'articolo 48 della Costituzione caratterizzi l'esercizio del voto (in generale) come “dovere civico”, esso potrebbe essere concepito come obbligatorio solo in una dittatura. Detto questo, può essere utile però ricordare in che contesto e con quale spirito i costituenti inserirono a suo tempo nell'articolo 75 della Carta il requisito del quorum.
Torniamo quindi al 16 ottobre del 1947, giorno in cui l'Assemblea costituente discuteva proprio questo punto. Nei lavori preparatori in commissione era stato messo a punto un testo che prevedeva un quorum fissato a due quinti, ovvero il 40 per cento. Fu Paolo Rossi, deputato e futuro presidente della Consulta, a proporre un vincolo più severo, al 60 per cento. Due le motivazioni addotte. Con il 40 per cento, osservava Rossi, sarebbe stato possibile (ipotizzando un 5 per cento di schede nulle) bocciare una legge con il sì di appena il 15 per cento degli elettori. Il giurista concedeva che si trattasse di “un'ipotesi rara, perché naturalmente si suppone che il popolo partecipi in più larga misura al diritto elettorale”. Ma concepiva la possibilità che “in un momento di stanchezza, quando si siano verificate più elezioni nello stesso anno, e talora anche nello stesso mese, o addirittura i cittadini siano stati chiamati più volte alle urne per il referendum, ci sia una certa indifferenza pubblica per una determinata legge che non sollevi un particolare cumulo di interessi popolari”.
Il secondo obiettivo enunciato da Rossi era evitare che i partiti chiamassero il popolo al referendum anche senza speranza di successo. L'emendamento fu poi corretto e approvato con il quorum collocato a metà strada al 50 per cento, dove poi è rimasto. Riassumendo: lo sbarramento venne introdotto come extrema ratio per casi molto particolari, in un contesto in cui l'affluenza alle urne era decisamente più alta. Si supponeva che funzionasse da deterrente contro consultazioni temerarie, ma non che potesse servire per contribuire a bocciare, intenzionalmente, quesiti già dichiarati ammissibili. Una strategia di questo tipo è diventata però più conveniente con il progressivo calo dell'affluenza alle urne ed è stata messa in atto più volte, con successo o meno, a partire dagli anni Ottanta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA