Allora ci si può domandare: tra il 2017 e il 2018 il prelievo sugli stipendi è aumentato? La risposta è no: aliquote e detrazioni Irpef sono rimaste le stesse, così come i contributi sociali versati dal lavoratore. Restando sul caso del lavoratore medio, l'Ocse aveva calcolato per il 2017 una retribuzione lorda di 30.838 euro l'anno, che l'anno successivo è passata a 31.292 (con un incremento di circa l'1,5%, appena superiore all'inflazione) per adeguarsi alla dinamica complessiva dei salari. Il nuovo importo, dedotti i contributi sociali sui quali non si paga imposta, corrisponde ad un imponibile Irpef di 28.323 euro: valore che si pone al di sopra della soglia dei 28 mila euro a partire dalla quale scatta un'aliquota marginale del 38%, invece che del 27. L'imponibile 2017 si collocava immediatamente al di sotto del limite. Riassumendo: lo stipendio più alto ha fatto scattare un gradino di tassazione maggiore, che ha generato - per la precisione - un incremento del prelievo dello 0,27%. Ed è proprio questo incremento (lievemente ridotto in quanto applicato alla retribuzione totale e arrotondato) che si è scaricato sul cuneo fiscale complessivo facendolo appunto crescere dello 0,2%. Insomma le tasse sul lavoro sono aumentate anche se nessun politico ha deciso di farlo. Gli economisti lo chiamano "fiscal drag" e da noi era un fenomeno ben noto negli anni Settanta-Ottanta.
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