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di Luca Cifoni

 La "brutta notizia" dei 14 euro al mese

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Sabato 26 Ottobre 2013, 00:36
Sicuramente una buona parte della colpa è dello stesso governo, che più o meno consapevolmente ha creato un clima di attesa per le misure in materia di riduzione delle tasse sul lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale-contributivo). Così quando la legge di stabilità è stata ufficialmente presentata, l'incremento della detrazione Irpef per i lavoratori dipendenti è stato liquidato nei commenti come l'elargizione di 14 euro al mese, una specie di mancia. A questa somma si arriva dividendo per 12 l'importo di 168 euro che è la maggiore detrazione annuale per un dipendente con un reddito imponibile di 18 mila euro l'anno; in realtà il beneficio è più limitato via via che il reddito sale e  si annulla completamente al livello di 55.000 euro.

Ovviamente una misura del genere, che potrebbe essere modificata in Parlamento, non rappresenta una svolta per nessuno e tanto meno per il ciclo economico. Tuttavia dal punto di vista del costo per lo Stato si tratta di una somma non gigantesca ma nemmeno trascurabile, circa 1,7 miliardi. Poco meno della metà del gettito dell'Imu sull'abitazione principale il cui ripristino, nel 2012, è passato alla storia come il simbolo di un'oppressione fiscale insopportabile. Per quel tributo il versamento medio è stato di 225 euro per la generalità dei contribuenti, e di circa 195 per quelli con un reddito compreso tra 10 mila e i 26 mila euro ossia - tra i dipendenti - la fascia maggiormente avvantaggiata dall'aumento della detrazione Irpef.

Nessuno però ha presentato il certo sgradito versamento dell'Imu come una questione da 19 (o 16) euro al mese. Non solo perché questa imposta si versava in due rate mentre quella sul reddito viene trattenuta ai dipendenti ogni mese (qualcuno in realtà aveva anche pensato a concentrare il beneficio Irpef in un solo mese, per renderlo più visibile). La psicologia cognitiva ci insegna che gli esseri umani sono più portati a far caso alle brutte notizie che a quelle positive: si chiama "negativity bias". Ma come italiani forse ci stiamo spingendo oltre.
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