Corri Italia, corri
di Luca Cifoni

Dove porta l'anti-europeismo elettorale

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Sabato 19 Novembre 2016, 13:24 - Ultimo aggiornamento: 13:26
Scrivono i giornali - e nessuno si prende la briga di smentire o precisare - che i toni anti-europei usati in queste settimane dal governo italiano dipendano da una precisa scelta di marketing elettorale: compiacere in vista del referendum costituzionale i molti cittadini piuttosto maldisposti verso le istituzioni comunitarie. Non è detto che la tattica sia vincente: come ha notato Romano Prodi, c'è il rischio che gli elettori scelgano alla fine l'antieuropeismo integrale di altre forze politiche. Ma il tema forse è più ampio: conviene oggi minare un edificio europeo già decisamente malconcio, senza avere una strategia per rimetterlo in piedi?

​Già in un post di due anni e mezzo fa su questo blog era stato evidenziato che in realtà le critiche all'Europa spesso sono rivolte indistintamente a bersagli diversi tra loro. Da allora la situazione si è fatta ancora più confusa. Le prese di posizione del nostro governo hanno almeno tre obiettivi, più o meno espliciti: la commissione europea, nella quale per l'Italia siede Federica Mogherini, e le sue strutture tecniche (i famosi "euroburocrati"), la Germania e gli altri Paesi nordici che condividono - approssimativamente parlando - la linea del rigore di bilancio e il fronte orientale, ovvero i Paesi (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca) che si rifiutano di partecipare all'accoglienza dei migranti.

​Anche senza entrare nei dettagli, si può constatare abbastanza facilmente che queste tre realtà oltre a essere essenzialmente diverse fra loro (si parla di una struttura comunitaria nel primo caso, di governi negli altri due) hanno posizioni differenziate proprio sui temi più rilevanti. Sommariamente parlando, la Germania contrasta in modo drastico la politica anti-migranti di Orban e degli altri, mentre la commissione guidata da Juncker ha cercato di attenuare in modo sostanziale la linea del rigore, incassando per questo forti critiche da Berlino. Allora parlare genericamente di "Europa" può forse andare bene ai fini della propaganda, ma non aiuta lil lavoro futuro che il Paese dovrà fare se vorrà davvero cambiare qualcosa a Bruxelles, cosa di cui c'è sicuramente bisogno. Lavoro per il quale, come osserva chiunque conosca questi temi,  servono una visione di medio-lungo periodo e solide alleanze.
 
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