Dagli ippopotami ai criceti: così il Covid colpisce gli animali. Farmaci sperimentali negli zoo: obiettivo, evitare passaggi (con variante) tra specie

L'esperta: se siete contagiati, non coccolateli troppo per evitare problemi; vanno protetti come i bambini

Dagli ippopotami ai criceti: così il Covid colpisce gli animali. Farmaci sperimentali negli zoo
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Sabato 11 Dicembre 2021, 13:31 - Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 19:02

Non solo la più grande operazione di vaccinazione su scala planetaria riferita agli esseri umani. La battaglia contro il Covid-19 è anche al centro di un'iniziativa parallela, meno nota ma non meno importante:  gli zoo di tutto il mondo hanno iniziato a somministrare agli animali loro ospiti un farmaco sperimentale anti-coronavirus come protezione da quella che temono possa essere, così come accade per le persone, una pandemia altrettanto letale per alcuni mammiferi. Dalle giraffe ai leopardi delle nevi, dai gorilla ai leoni marini, fino agli ippopotami e ai criceti, diverse le specie colpite. Ed è a queste che sono rivolte le attenzioni di veterinari e scienziati. A darne notizia è il Guardian.

Il giornale britannico elenca un po' di casi, partendo dai più recenti. La scorsa settimana due ippopotami allo zoo di Anversa, in Belgio, sono diventati gli ultimi a contrarre il Covid dagli umani. Fortunatamente, Imani e Hermien - questi i nomi dei due esemplari - non hanno avuto sintomi a parte il naso che cola. Non altrettanto bene è andata ad altri animali. A novembre tre leopardi delle nevi sono morti per complicazioni legate al Covid in uno zoo per bambini in Nebraska.

Altri zoo hanno segnalato infezioni in gorilla, leoni, tigri, iene e puma.

Il salto di specie

“Abbiamo sempre riconosciuto che i coronavirus hanno questa straordinaria capacità di saltare le specie. Quindi è sempre stato previsto che ci sarebbe stata una varietà di animali domestici, bestiame e potenzialmente animali selvatici che potevano essere infettati", spiegaal Guardian  Margaret Hosie, professore di virologia comparata presso il Centro per la ricerca sui virus dell'Università di Glasgow. Nonostante sia quasi unanime l'attribuzione dell'origine del Sars-CoV-2 proprio a un animale, nel caso specifico un pipistrello, la gran parte della ricerca scientifica si è concentrata sulle conseguenze per gli esseri umani. Ora che i vaccini hanno cominciato ad agire, al di là delle posizioni rumorose ma limitate (e comunque deleterie) dei no vax, ora  - si diceva - le attenzioni si sono estese anche agli animali.

Il motivo è duplice: la protezione delle altre specie viventi ma anche e soprattutto la necessità di impedire la circolazione del virus in ambito animale, cosa che potrebbe favorire il sorgere di nuove varianti che potrebbero aggredire le persone in forme ancor più devastanti. "Potresti concentrarti sull'eradicazione del virus negli esseri umani, ma nel frattempo il virus potrebbe mutare silenziosamente in una specie animale e diventare sempre più aggressivo", ha spiegato infatti la stessa Hosie.

Il rapporto uomo-animale

La prima segnalazione di un'infezione animale - racconta ancora il Guardian - è arrivata nel febbraio 2020 quando un cane a Hong Kong è risultato positivo, probabilmente dopo aver contratto il Covid dal suo proprietario, infetto. Da allora sono state numerose le segnalazioni di cani e gatti con Covid. Altri animali generalmente sembrano meno sensibili: ad esempio, nessuno ha ancora identificato un pesce rosso positivo al Covid, ma - per fare alcuni riferimenti pratici - furetti e criceti dorati possono prendere il Covid-19 e i criceti nani Roborovski possono morire a causa di esso. Ulteriori ricerche hanno suggerito che le infezioni da cani e gatti sono relativamente comuni.

L'organo di stampa britannico racconta che scienziati olandesi hanno scoperto che nel 20% delle famiglie visitate, dove i proprietari di animali domestici erano risultati positivi al Covid, i cani e i gatti avevano sviluppato anticorpi per il virus, segno evidente del contagio. In genere, gli animali infetti sviluppano la patologia con sintomi sostanzialmente lievi, in genere naso che cola, tosse, starnuti o congiuntivite, e quasi tutti guariscono senza conseguenze.  Ma alcuni, al contrario, possono manifestare la malattia in forma grave. "Il primo gatto che abbiamo identificato come infetto dal suo proprietario era un giovane gattino morto di polmonite", ha detto Hosie. "Non abbiamo testato esaurientemente altri potenziali agenti patogeni, quindi non possiamo dirlo con certezza, ma la patologia era molto simile alla polmonite virale osservata nei pazienti Covid-19".

Le contromisure negli allevamenti

Monitorata la situazione, la domanda è inevitabile: questi esemplari infetti sono a loro volta contagiosi, per le persone e per altri animali? Sui cani - spiega ancora il Guardian - l'evidenza suggerisce che il rischio di trasmissione in avanti è basso. Sui gatti, studi sperimentali suggeriscono che possano infettare altri gatti, anche se nel mondo reale il fenomeno è incerto, anche perché siamo di fronte a una specie con esemplari relativamente solitari. Se contraggono il Covid-19, il loro proprietario sarà molto probabilmente la fonte. Ma non sempre funziona così: i visoni, ad esempio, sono costretti a vivere in stretta vicinanza negli allevamenti e il rischio contagio è elevato.

Negli allevamenti, i contagi possono essere arginati con quarantene e abbattimenti. Nel marzo scorso, il servizio veterinario statale della Russia ha annunciato di aver approvato un vaccino contro il Covid-19 chiamato Karnivak-Kov per l'uso negli allevamenti di animali da pelliccia o per cani e gatti, e questo dopo i necessari studi clinici, condotti su volpi artiche, gatti, cani e visoni. Da parte sua, il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha autorizzato un vaccino sviluppato dall'azienda americana per la salute degli animali Zoetis per uso sperimentale caso per caso. E proprio il farmaco di Zoetis è stato inoculato nello zoo di San Diego a due grandi scimmie, dopo che un gruppo di gorilla dello zoo si è ammalata di Covid.

I maggiori rischi

"Ciò di cui siamo veramente preoccupati è il passaggio avanti e indietro tra umani e animali, e tra animali, in un ambiente in cui la popolazione umana potrebbe essere colpita", ha affermato al Guardian Rebecca Fisher, assistente professore di epidemiologia presso la Texas A&M University. "L'importante è non coccolarli troppo se siete malati o convalescenti. Dobbiamo proteggerli, come faremmo con i bambini", ha aggiunto.

 "L'attuale pandemia è mantenuta dalla trasmissione da uomo a uomo, ma dobbiamo mantenere un controllo sugli animali", ha affermato Alan Radford, professore di informatica sanitaria veterinaria presso l'Università di Liverpool. Ma per ora, la fonte più probabile di nuove varianti è la continua circolazione del virus nell'uomo. Con gli alti tassi di infezione in corso - conclude l'articolo di giornale - siamo noi esseri umani maggior rischio per gli animali di quanto non lo siano loro per noi. Anche se, per stare alle fonti ufficiali, tutto è partito in realtà da un pipistrello.

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