Guerra in Ucraina, Covid e siccità: «Cereali, in Italia scorte solo per un mese», l'allarme di Maurice Bensadon. Rischio carestie

E in Africa sale il rischio di carestie

Guerra in Ucraina, Covid e siccità: «Cereali, in Italia scorte solo per un mese», l'allarme di Maurice Bensadon. Rischio carestie
di Francesca Pierantozzi
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Giovedì 24 Marzo 2022, 07:37 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 15:04

PARIGI - «In 38 anni che lavoro nel settore delle materie prime, non ho mai vissuto una situazione simile», Maurice Bensadon dirige l’ufficio italiano del colosso agroalimentare Viterra.

Il mercato dei cereali e delle oleaginose (girasole, colza, sesamo, arachide, ravizzone, senape, ricino, cartamo), dalla produzione, al trasporto allo stoccaggio, è il suo mondo. «Non ci dormo la notte - ammette - penso alle difficoltà del mercato, certo, ma soprattutto ai nostri colleghi e amici in Ucraina, al nostro ufficio che è stato distrutto».

 

Nei supermercati gli scaffali della pasta cominciano a svuotarsi. Panico dei consumatori o primi effetti della guerra sugli approvvigionamenti?

«Il grano duro usato per la pasta alimentare in Italia arriva soprattutto dal Canada, quindi per ora è meno esposto all’effetto della guerra, anche se il settore era già in tensione a causa dell’impatto del cambiamento climatico sui raccolti e del Covid sulla logistica.

Il problema più immediato per il grano tenero che serve per le farine e per i mangimi animali. L’Italia dipende dall’Ucraina (per circa il 30 per cento del fabbisogno) soprattutto per il mais, fondamentale nei mangimi animali. Ci troviamo in una situazione totalmente inedita, resa eccezionale dalla sovrapposizione di diversi fattori: siccità, Covid, guerra. Globalmente potremmo dire che in Italia ci sono stock assicurati per non più di un mese per quanto riguarda materie alimentari cerealicole, mais, grano, orzo, grano tenero per i mulini».

Maurice Bensadon

L’Europa da sola non può farcela?

«Russia e Ucraina insieme rappresentano il 30 per cento del surplus mondiale di grano. In Europa i paesi esportatori sono la Francia, ma soprattutto per il mercato italiano, l’Ungheria, la Serbia, la Bulgaria e la Romania. Alla chiusura del mercato ucraino e russo, si aggiunge un problema che riguarda il mercato interno europeo: molti paesi esportatori in Europa hanno reagito alla crisi con un riflesso nazionalista, limitando le esportazioni verso paesi terzi. La Commissione non ha ancora avuto il tempo di reagire ma spero che lo farà. Ogni giorno che passa questa situazione aumenta la fragilità di paesi come l’Italia».

Che misure si possono prendere?

«Non fare niente è l’unica cosa che mi pare infattibile. In questo momento vedo due possibilità per far fronte alla tensione sul mercato dei cereali: o limitare la produzione di bioenergia, come etanolo o biogas, che si fa a partire da materie prime agricole, o ammorbidire i criteri su Ogm e pesticidi, che ci consentirebbe di aumentare l’importazione da paesi come Usa e Argentina. Sono due misure eccezionali, per far fronte alla crisi. Nel primo caso si tratta di una misura che però ci priva di fonti di energia (in un momento in cui ne abbiamo bisogno, lasciandoci tra l’altro ancora più dipendenti dal gas e quindi dalla Russia). La seconda è più facile da applicare e forse più logica, tenendo anche conto che in Usa o Argentina esistono comunque dei controlli (anche se le soglie sono più basse che in Europa) . Dobbiamo essere trasparenti e trovare soluzioni».

Macron ha parlato di rischio di crisi alimentare grave tra 12-18 mesi con conseguenze molto gravi in Africa, dove ha evocato il rischio di carestie.

«Macron ha ragione. Il tempo dell’agroalimentare non si ferma e non si recupera; adesso bisognerebbe seminare il mais, ma chi può seminare in un paese in guerra? L’industria alimentare è un ciclo, non si può applicare lo stop and go che si può, per esempio, applicare all’industria dell’auto. Se non si semina, poi non si raccoglie, il bestiame deve mangiare, non può aspettare. Oggi siamo incapaci di pensare a tutte le conseguenze mondiali, ma sul lungo termine mi sento di essere ottimista. Se saremo capaci di prendere buone misure, l’Europa è in grado di avere un’indipendenza alimentare, l’ha già avuta nel passato. Dobbiamo coordinarci e ricreare ricchezza per l’agricoltura e gli agricoltori europei». 

 
 
 

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