Pomodori, rossi per "caso": in origine erano viola, poi la mutazione genetica

Pomodori, rossi per "caso": in origine erano viola
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Venerdì 8 Novembre 2019, 12:58 - Ultimo aggiornamento: 19 Luglio, 17:39

I primi pomodori non erano rossi, ma viola. Il colore che oggi li contraddistingue è infatti nato dal caso, per la mutazione di un gene. Lo hanno scoperto due ricerche condotte in modo indipendente in Italia, nel PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, e in Cina, dall'Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, pubblicate rispettivamente sulle riviste Plant Communications e Molecular Plant. Il colore viola dei primi pomodori era dovuto alla presenza delle sostanze antiossidanti chiamate antocianine, le stesse che colorano uva e more, ma poi è cambiato in rosso per una mutazione genetica avvenuta spontaneamente e ricostruita adesso dalle due ricerche.

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Il punto di partenza è stata l'analisi di una varietà di pomodori viola molto rari e noti fin dagli anni '70, della varietà chiamata Aft (Anthocyanin Fruit) e con striature viola sulla buccia. Incrociando questa varietà con un'altra, chiamata Atv (Atroviolacea), si ottengono pomodori con un colore simile a quello delle melanzane. Questo ha permesso di identificare, fra gli oltre 30.000 geni del pomodoro, quello che colora di viola la buccia della varietà Aft. Il gruppo italiano guidato da Pierdomenico Perata, con Sara Colanero, Silvia Gonzali, ha scoperto che non si tratta di un super-gene esclusivo di quella varietà, ma che è il comune pomodoro ad averlo perso, silenziandolo con un processo simile a quello avvenuto nell'uva, che in origine era solo nera.

Avere identificato questo gene permetterà di accelerare la selezione di varietà con un più alto contenuto di sostanze antiossidanti, come gli antociani. Ottenere questo risultato «ha richiesto molti anni di lavoro, in un contesto di forte competizione con alcuni gruppi di scienziati cinesi, particolarmente attivi su questa tematica di ricerca», ha osservato Perata. «La Cina - ha aggiunto - investe oltre il 3% del PIL in ricerca, mentre l'Italia appena l'1,3%: è evidente che la competizione diventerà sempre più difficile, considerando la differente disponibilità di finanziamenti per la ricerca scientifica».

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