Una parola, santuario, che alla curia teatina è sembrata eccessiva: quanto basta, insomma, per intervenire, con discrezione, ma altrettanta energia. Fino a suggerire al clero locale di disertare l’evento. »Se ho fatto una gaffe chiedo scusa – si difende don Stellerino – ma non era mia intenzione usare in maniera indebita il termine “santuario”. Mi sfuggono, a tal proposito e non mi competono di certo le liturgie curiali, le pratiche su cui si fonda un conferimento ufficiale, ma per me e, ne sono sicuro, per tanti credenti, è la fede che conta di più. Ogni chiesa, il cuore di ciascun cristiano è un santuario, per cui non vedo motivo di tanto scandalo tra i miei confratelli».
Secondo i fedelissimi dell’87 enne parroco di San Pietro, insomma, che le critiche le ha sempre affrontate di petto, il superiore, paterno richiamo, attribuito per taluni all’arcivescovo, Bruno Forte, sarebbe frutto dell’eccesso di zelo di alcuni sacerdoti. »Mi spiace per chi, tra loro – dice don Stellerino – non si è degnato neanche di farmi notare questo mio, chiamiamolo errore, ma tant’è. Chi vorrà raccogliersi in preghiera con me, oggi pomeriggio, sarà il benvenuto». La riproduzione della Sindone è il dono di un devoto, un molisano di Chiauci, che crede nel suo alto valore simbolico: «La sua copia – osserva il parroco vastese – esposta da oggi ai piedi dell’altare e poi affissa a una parte della chiesa, darà ai credenti uno spunto di riflessione in più sul sacrificio di Gesù, ma sarà, allo stesso tempo, il segno della sua vittoria sulla morte e della certezza gioiosa della resurrezione».
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