Palombaia, uccise il padre per difendersi: «Dopo 40 anni la gente in paese ancora giudica»

Palombaia, a 14 anni uccise il padre per difendersi: «In paese la gente non sa e giudica»
di Daniele Rosone
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Venerdì 19 Novembre 2021, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 15:35

«Vorrei che Alberto fosse semplicemente Alberto e non Alberto quello che...». Sono le parole di Alessandra, la moglie di Alberto Fabiani che racconta con lui una storia di riscatto mancato, almeno in città, ma anche di discriminazione e pregiudizio. Di gente che giudica senza sapere. Non provandoci nemmeno ad andare oltre il proprio naso. Lo fa perché lei stessa è stata vittima di sguardi e pregiudizi. E Alberto in questa città dove è tornato da cinque anni ha trovato solo porte chiuse lavorativamente parlando, cosa che non è accaduta a Roma invece dove ha lavorato anche in strutture importanti (è un fabbro eccellente) come il Colosseo, arrivando ad avere una ditta propria. Per capire bisogna tornare indietro. Era il 1980 e i più anziani ricordano quella storia che scosse un tranquillo paese, Palombaia di Sassa. Una storia di maltrattamenti e violenze in famiglia subite per anni da Alberto e non solo culminata con lui che, nel tentativo di difendersi dal padre, fa partire un colpo di fucile che lo uccide. Alberto ha la fedina penale pulita perché fu assolto nonostante una richiesta pesante da parte del giudice. Aveva 14 anni, fu ritenuto incapace di intendere e di volere. Per lui si mobilitarono in tanti e ci fu una manifestazione in via Strinella di persone che volevano manifestare a quel ragazzino sfortunato e coraggioso vicinanza. Il riformatorio in città è stata la sua casa sino a 18 anni, ma anche una palestra di vita.


UNA VITA SEGNATA «Lì ho avuto dei maestri di vita - racconta Alberto - e ho perfezionato il mestiere di fabbro che avevo appreso da mio padre. Ho avuto l’opportunità di studiare e prendere la terza media ai corsi serali». Una vita segnata profondamente dal dolore, come testimonia nel racconto pure la moglie che vorrebbe solo una cosa per lui, il rispetto da parte della gente. Perché Alberto è una persona per bene. Lo è sempre stata. Ma la città e la gente non gli hanno perdonato non si capisce bene cosa. Fino a 23 anni è rimasto all’Aquila e i fabbri del posto se lo litigavano quel ragazzo giovane e dalle mani d’oro. Poi la lunga parentesi a Roma, i figli e il lavoro che va bene. Lì nessuno è interessato alla sua storia, ma a quel che è e che vale. Ma appena torna in città dopo tutti quegli anni sente di nuovo gli sguardi addosso, una sorta di non accettazione, porte chiuse per il lavoro, tante difficoltà: la gente sparla ma non comprende il contesto nel quale la tragedia familiare è avvenuta. «Ho impiegato tanto tempo - aggiunge Alberto - per capire io quello che era accaduto. La gente non sa quello che è successo realmente ed è più facile mettere le etichette e giudicare». Perché questa città non gli ha dato una seconda possibilità? In fondo avrebbe voluto solo quello. Una sorta di riscatto che però dentro di se é avvenuto. E non per dimostrare a qualcuno, ma per se stesso. E se tanti gli hanno rifiutato un lavoro «perché Alberto è quello che...» lui pur portandosi sempre dentro quel macigno è una persona onesta che si guarda allo specchio e si piace e che una forma di riscatto in fondo l’ha trovata. Nell’amore vero della moglie, dei figli e di qualche amico. Nella capacità di essere quello che è oggi, provato dalla vita ma una persona per bene.
 

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