Da una parte il procuratore generale Carlo Paolella che, insistendo per la conferma della condanna a 22 anni di reclusione, si è detto «inorridito» per la richiesta di omicidio preterintenzionale avanzata dall'avvocato Alberto Paone; dall'altra lo stesso legale che ha insistito sulla non volontà dell'imputato di uccidere la moglie, morta per una lesione al collo che lei stessa, secondo una ricostruzione di parte, si sarebbe prodotta nelle concitate fasi del litigio con il coniuge. Puntando l'attenzione sui gravi problemi di natura psichiatrica cui il proprio assistito è ancora affetto.
Si è concluso ieri in Corte d'Assise d'Appello, all'Aquila, con la rideterminazione della pena a 17 anni di reclusione, il processo per l'omicidio del 29 novembre del 2019 a Torino di Sangro: Domenico Giannichi, 71 anni, uccise la moglie Luisa Ciarelli (65) colpendola prima a bastonate e poi strangolandola. In primo grado, il 18 marzo scorso, l'uomo era stato condannato a 22 anni di reclusione dalla Corte d'Assise di Lanciano. Per la diminuzione della condanna la Corte aquilana ha ritenuto prevalente il vizio parziale di mente, già riconosciuto in primo grado, rispetto all'aggravante del rapporto di coniuge.
L'omicidio avvenne nella boscaglia di via Montesecco, al termine di un litigio esploso in auto con una zuffa proseguita all'esterno, con la parte offesa presa a bastonate dall'omicida su tutto il corpo: ne sono state contate 26 e poi 6 colpi in testa, nella regione occipitale: naso fracassato con un pugno e torsione del collo che ha provocato l'insufficienza respiratoria e susseguente morte della donna.
«La sentenza soddisfa abbastanza- ha detto l'avvocato Paone al termine della lettura della sentenza - la Corte mi è sembrata molto attenta, la relazione è stata dettagliata. Leggerò la sentenza per valutare se ci sono motivi per ricorrere in Cassazione. Sicuramente è una sentenza più equilibrata rispetto a quella di primo grado».