Imperiale: «Con le ricchezze della transumanza costruiti i palazzi nobiliari, ma all'Aquila si è rimosso»

Imperiale: «Con le ricchezze della transumanza costruiti i palazzi nobiliari, ma all'Aquila si è rimosso»
di Stefano Dascoli
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Giovedì 12 Dicembre 2019, 11:39
L'AQUILA - «E’ come se ci fosse un patrimonio inestimabile e i relativi monumenti fossero tutti qui, in Abruzzo, nella provincia dell’Aquila». Pierluigi Imperiale è uno dei massimi esperti di transumanza. Dottore veterinario, da decenni è appassionato e studioso sopraffino del fenomeno.

Imperiale, cosa significa questo riconoscimento per l’Abruzzo?
«E’ un errore confondere la transumanza con i cammini. Questo è il riconoscimento all’intera cultura pastorale mondiale. Che ha il suo cuore proprio nell’Abruzzo e nella provincia dell’Aquila in particolare. Significa che bisogna riappropriarsi di un ruolo nella difesa e nella modernizzazione della cultura pastorale».

Tutto teorico, o c’è di più?
«Affatto. La cultura pastorale oggi è collegata alla difesa dell’ambiente. I nostri pascoli sono ideali: per questo i tratturi partono da qui, sin dal tempo dei romani. Un ambiente unico, da tutelare, la cui ricchezza è oggi ignorata».

Perché?
«Perché, soprattutto all’Aquila, c’è stato un fenomeno di rimozione delle radici pastorali. Quasi tutti i palazzi sono stati costruiti con le ricchezze della pastorizia, ma è come se gli aquilani si siano vergognati di questo. Cosa che invece non accade in Australia, in Scozia, in Spagna, dove la massima insegna d’onore reale è un vello d’oro. In ogni palazzo aquilano ci sono i segni: capitelli a forma di ariete, altorilievi con pecore a due teste, il “toson d’oro” sul Forte spagnolo. Cose che in una narrazione turistica vera, consapevole, moderna, rappresenterebbero un tesoro. Basti pensare a tutti i gadget che si vendono in Scozia, senza avere la nostra storia».

Che cosa è la transumanza?
«Le montagne, Gran Sasso, Maiella e Sirente, fornivano il cibo per l’estate, con centinaia di specie. Disponibile da maggio a novembre. D’inverno, però, le greggi non avevano cosa mangiare. Per questo i pastori spostavano gli allevamenti nella Capitanata, chiamata così perché c’era il “capitano” della dogana. C’erano terreni riservati al Regno di Napoli che li metteva disposizione dei pastori, in cambio di un fitto. Che garantiva anche la protezione durante il tragitto: nessuno poteva fermare la transumanza, c’era persino un tribunale speciale a Foggia».

Un sistema economico vero e proprio.
«Assicurava ai romani prima, e al Regno di Napoli poi, la più ricca entrata fiscale: il capitano della dogana che gestiva l’enorme flusso di denaro era la figura più importante dopo il Re. I proprietari di greggi si arricchivano essenzialmente con la lana, che poteva essere venduta solo alla fiera di Foggia, e non con le carni o i latticini, che erano solo merci di scambio durante il tragitto. Gli “armentari” aquilani hanno acquistato così la nobiltà, costruito i palazzi e creato una classe di contabili, notai e avvocati, che ancora oggi domina la città».

Quali sono i tratturi e in che condizioni sono oggi?
«Il tratturo magno, lungo 243 chilometri, collegava L’Aquila a Foggia, attraverso Santa Maria di Centurelli, Forca di Penne, Santa Filomena di Chieti Scalo, Lanciano, interno Vastese, Molise, fino a San Severo e poi Foggia. Il secondo era quello Centurelle-Montesecco, una sorta di “bretella” del primo per quando c’era troppo “traffico”. Poi c’erano il Celano-Foggia, il Pescasseroli-Candela e il Castel di Sangro-Lucera. Su alcuni sono stati fatti tratti di strade, gasdotti e altro, ma i primi 60 chilometri del tratturo magno sono percorribili quasi tutti sul verde. Anche il Molise è quasi tutto sul verde. Dire che non ci sono più è una sciocchezza». 
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