I fatti risalgono al 2016. Il giovane era affetto da un grave ritardo neuromotorio che non gli consentiva di provvedere autonomamente alle proprie esigenze primarie e che gli impediva perfino di parlare. L’insegnante di sostegno alla quale venne affidato, anziché supportarlo quanto meno nelle attività più elementari, iniziò a sottoporlo a continue e reiterate vessazioni. Se ne accorsero, molto presto, sia gli altri docenti che i compagni di classe. Le voci iniziarono a diffondersi rapidamente, giungendo alle orecchie della dirigente scolastica e infine a quelle della madre della vittima, che immediatamente presentò denuncia.
L’inchiesta, coordinata dal pm Anna Benigni, fece emergere un quadro drammatico ed inquietante, che comportò l’applicazione di una misura cautelare nei confronti dell’imputata, sospesa per un anno dall’insegnamento. Secondo l’accusa, infatti, l’insegnante inflisse al ragazzo «uno stato di palese turbamento e di ingiustificata prostrazione e sofferenza», ricorrendo a pesanti vessazioni, anche di natura fisica. Ad esempio sarebbe stata solita colpire il giovane disabile “con la mano sulla schiena e sul braccio – è scritto nel capo d’imputazione - ogni qualvolta il minore non collaborava nello svolgimento delle attività programmate”.
In alcune occasioni lo avrebbe tirato «dai polsi e dai capelli per costringerlo a seguirla fuori dalla classe» e altre volte gli avrebbe slacciato le scarpe «al fine di impedirgli il movimento». In aula gli altri ragazzini, mostrando una sensibilità di cui l’imputata è risultata sprovvista, si avvicinavano al compagno meno fortunato per esprimergli solidarietà e amicizia, ma l’imputata intimava loro di restare a distanza, paventando «il rischio di essere infettati da non meglio precisate malattie contagiose». Proprio le testimonianze dei compagni di scuola, insieme a quelle degli altri docenti e della madre della vittima, che aveva notato un inasprimento nel carattere del figlio, sono risultate decisive per provare le responsabilità dell’imputata.
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