6 aprile 2009/L'undicesima candelina sulla quale soffiare, non da soli

La fiaccolata del 2019
di Tiziana Pasetti
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Domenica 5 Aprile 2020, 14:49
Scrivere di 6 aprile in tempo di Covid-19 è cosa ardua. Da una parte quello che ognuno di noi si porta dentro da 11 anni, ricordi ormai quasi entrati nel mito di ogni storia personale e insieme la consapevolezza di una strada ancora da percorrere a lungo, di una fabbrica di componenti e assemblaggio urbano ancora lontana dalla fase finale della rifinitura e della lucidatura; dall’altra l’inserimento di questo nostro taglio accidentale, geologico, all’interno di una grande bolla biologica.

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Una terra incostante sulla quale abbiamo paura di poggiare i piedi, un’aria solo apparentemente limpida dalla quale dobbiamo proteggere il nostro respiro. Sono giorni che vivo in due mondi lontanissimi: quello dei social, urlatissimo, tutti contro tutti, bambini, cani, gente che va a fare la spesa, contrapposto a quello che vedo con i miei occhi (un giornalista ha il dovere di osservare, in sicurezza ma DEVE), strade vuote, persone in fila con ordine all’interno e fuori dai supermercati, passanti rari (con e senza cani o minori). Ma questa dicotomia è presente da anni; da anni L’Aquila si è riversata, insieme ad una dose massiccia di violenza verbale, di rabbia viscerale, nelle piazze virtuali. Da anni L’Aquila ha imparato a non essere più una realtà.

Molto è stato messo in standby, in attesa che tutto ad un tratto si inaugurasse il New Deal del capoluogo: “eccola, è pronta, come prima dove era prima, svegliamoci, è lunedì 6 aprile 2009”. Adesso L’Aquila si è fermata ancora di più, e si è fermata insieme a tutto il resto del mondo. Adesso non abbiamo nulla di diverso dagli altri, viviamo le stesse paure, non ascoltiamo Biondi ma assistiamo ai messaggi di Conte, ci riconosciamo in una lotta continua e comune. La solitudine fisica? Siamo un po’ più abituati di tutti gli altri, qui.

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Ma lo sguardo va gettato oltre la siepe: credo conti tentare di capire quanto ci sia di consistente nei giorni che stiamo vivendo, come singoli e come componenti di gruppi, comunità, di uno Stato, di un sistema Mondo. Credo sia necessario domandarci se in questi giorni (e in questi dieci anni appena conclusi), stiamo facendo la Storia o se ci stiamo semplicemente lasciando trasportare dalla cronaca, slabbrata, momentanea, forse emozionante (pensiamo ai titoli dei servizi divora click: “bimbo di due mesi dice la preghierina chiedendo al Signore di fermare il virus e il web si commuove”, “Tiziano Ferro in un video dice a tutti di restare a casa e il web si commuove”, “Arriva la fiera del 5 gennaio, le immagini del centro aquilano pieno di gente commuovono il web”) ma troppo spesso solo inconsistente, improduttiva.

E dobbiamo oggi afferrare la consapevolezza di quanto sia faticoso costruire - lo abbiamo visto noi aquilani, una comunità che si è via via disgregata - una Storia che sia comune, che si compenetri con le altre. È stato più semplice affidarsi alla cronaca del quotidiano, ai contatti mai finalizzati al costruire ma solo a forme di attrito. È di nuovo, questo, un tempo incredibile. Silenzioso, pieno di spazi ‘vuoti’ dentro di noi, di strade e vicoli deserti. C’è da soddisfare la sete di prospettive, su un futuro che vogliamo credere vicino.

E c’è da considerare il giorno in cui saremo di nuovo solo L’Aquila, in cui smetteremo di essere soli in casa come tutti ma torneremo ad essere soli per strada come pochi, gli occhi persi dentro immagini di un passato sbriciolato, lo sguardo fisso sulle gru in azione. È difficile, oggi, raccontare queste ore, questa undicesima candelina sulla quale soffiare, un soffio che è un sospiro e un dolore e una nostalgia e insieme il fuoco di un cambiamento più grande, di un protagonismo vittimistico che dovremo imparare a mettere via una volta per tutte
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