Covid, Pierluigi racconta il suo ricovero: «Ho rischiato di morire, mi ha salvato quella mano da stringere nei momenti più difficili»

Covid, Pierluigi racconta il suo ricovero: «Ho rischiato di morire, mi ha salvato quella mano da stringere nei momenti più difficili»
di Rosalba Emiliozzi
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Giovedì 26 Novembre 2020, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 08:50

«Questa malattia chiude gli alveoli e schiaccia i polmoni, ti lascia affanno, debolezza, io ho perso 15 chili, quando mi guardo allo specchio non mi riconosco. Non sono morto perché non era la mia ora». A parlare è Pierluigi Ridolfi, 53 anni oggi, pasticciere di Teramo, un nome nel suo settore, si è ammalato di Covid-19 non sa dove e come perché lui la mascherina l’ha indossata sempre, mani disinfettate, distanza, «queste sono regole» dice.

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«L’ho preso da un asintomatico, perché chi sta male sta a casa o in ospedale, come me». Parla a fatica Pierluigi e racconta gli incubi e le allucinazioni da brivido durante la malattia, e le emozioni fortissime, le lacrime che «arrivano di colpo anche a tavola, tutt’ora». Quasi un mese d’ospedale, quasi tutto nella Medicina Covid di Atri, dopo due tamponi negativi e una settimana a casa con febbre tra 39 e 40 che non se ne andava. Poi il ricovero a Teramo, due giorni, il terzo test positivo e il trasferimento d’urgenza alla terapia intensiva del San Liberatore, «dove ho trovato persone preparatissime e dove mi hanno salvato la vita». Ventisei giorni di degenza per polmonite bilaterale e la battaglia vinta. «Il Covid è la solitudine. Tu, il fruscio enorme del respiratore, come stare in un acquario e su una moto a 200 all’ora nello stesso momento» racconta Pierluigi, sposato, due figli di 23 e 17 anni, anche loro contagiati. «Io sono stato l’unico a finire in ospedale - dice - sentivo al telefono mia moglie, qualche videochiamata, erano tuffi al cuore».

Pierluigi racconto i giorni lunghissimi in ospedale, la «maschera grande» che ha dovuto abituarsi a portare per respirare, «la gara d’ossigeno», come la chiama lui, a controllare sempre il grado di saturazione. Il corpo che cambia, i muscoli che se ve vanno dopo 20 giorni steso sul letto e altre patologie che “affiancano” il virus. «Ho avuto problemi all’intestino, scompensi al fegato, al pancreas - racconta - pesavo 80 chili e sono arrivato a 65, ho rischiato di morire, ho visto e provato tanta sofferenza, ammalati che sono stati intubati, altri andarsene». Di questa continua lotta al coronavirus ha un ricordo indelebile di profonda umanità. «Ad Atri lavorano persone fantastiche - dice - medici, infermieri, assistenti, tutti scrupolosi, molto disponibili». Ricorda, Pierluigi, una «mano amica» quando esami invasi rischiavano di diventare insopportabili: «All’ennesimo ago infilato, una dottoressa mi disse “tienimi la mano, stringila forte”». È stata la luce in fondo al tunnel per Pierluigi che, solo in ospedale, grazie a quella stretta di mano è riuscito a trovare la forza per superare il Covid-19, una bestia nera, come gli incubi ricorrenti in ospedale che lo riportavano nell’infermo e la fame di sonno: «Non riuscivo a dormire, è stato davvero terribile».
 

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Ora è a casa e con un post su Fb, il pasticcere ha voluto ringraziare gli “angeli” di Atri e invitare tutti a fare maggiore attenzione.

Anche ieri in provincia di Teramo ci sono state 151 nuovi positivi e due decessi. «Tutti devono fare i tamponi, dovrebbe essere obbligatorio» dice Pierluigi Ridolfi. Oggi è il suo compleanno e farà una festa in casa con la sua famiglia. «Mi hanno preparato anche un dolce - dice - io ho fatto da supervisione». Un giorno felice, verso la ripresa. Lo attende mesi di riabilitazione respiratoria e motoria, «perché il virus c'è, è subdolo, fa male male e bisogna proteggersi», ripete.

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