Ucraina, il preparatore atletico Marco Marcattilii: «La fuga in treno da Kiev mentre si sparava a vista»

Marco Marcattlii, il primo da destra. Il preparatore atletico Marco Marcattilii: «La fuga in treno da Kiev mentre si sparava a vista»
di Stefano Dascoli
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Martedì 1 Marzo 2022, 09:21

«Sono felice a metà» dice al telefono Marco Marcattilii di Tortoreto, in provincia  di Teramo, preparatore atletico dello Shakhtar Donetsk, una delle principali squadre di calcio ucraine, una delle migliori a livello internazionale. Il cuore diviso: da un lato la gioia per essere riuscito a fuggire dall’incubo della guerra dopo giorni tremendi, in cui sembrava impossibile lasciare Kiev; dall’altro l’angoscia per aver lasciato calciatori, amici, nell’inferno delle bombe. Marcattilii è rientrato a casa nella serata di ieri, dopo un viaggio rocambolesco. Decisivo, tra gli altri, l’intervento del presidente dell’Uefa, Aleksander Ceferin e quello del nostro presidente federale, peraltro abruzzese, Gabriele Gravina.

«Abbiamo cercato più vie d’uscita - racconta Marcattilii al Messaggero -, l’ambasciata ci italiana è stata vicina perché cercava di contattarci ogni due - tre ore, ma purtroppo c’erano più di duemila persone da evacuare. E così abbiamo dovuto cercare canali diversi perché stava arrivando il momento della chiusura della città, avevamo paura di non uscire perché la situazione si faceva via via più critica».
«Siamo stati scortati fino alla stazione - dice ancora - e siamo riusciti a prendere un treno nel giorno del coprifuoco, mentre si stava sparando a vista. Avevamo paura nel tragitto verso la stazione». Una volta in stazione è iniziato un altro lungo viaggio. «Siamo arrivati a Leopoli, ma abbiamo dovuto deviare perché c’erano dei conflitti nel percorso. Una volta lì da ci hanno scortato su un minibus per cinque-sei ore sulla neve, gli autisti sono stati bravissimi a guidare in quelle condizioni. Siamo arrivati alla dogana e ci hanno fatto passare facendo un percorso particolare». Budapest, la salvezza.

Da lì l’aereo, verso Bergamo e poi in auto fino a casa. «Un viaggio lungo - racconta Marco - ma c’è gente che è in fuga da due-tre giorni, noi nel dramma siamo stati anche fortunati. Un viaggio che avrò dentro per sempre. Ho visto il popolo ucraino soffrire in maniera incredibile».

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I giorni precedenti alla fuga sono stati da incubo. «Stando chiusi in albergo sentivamo i rumori da fuori. Abbiamo dormito molto poco, suonavano spesso le sirene. I cinque bombardamenti di mercoledì li abbiamo sentiti dalle nsotre case: una cosa che ci ha scosso notevolmente. Quello che stanno soffrendo le persone lì è pazzesco, ma la loro reazione fa venire la pelle d’oca: dignità e forza, stanno tenendo testa». L’immagine peggiore, dice ancora Marcattilii, è quella delle stazioni: «Si stanno arruolando tutti, ho visto persone salutare figli e mogli. Sono cose che mi rimarranno dentro a vita. Le stazioni sono piene di bambini che guardano nel vuoto, infreddoliti. A Leopoli tantissimi erano lì, in fuga senza meta, andar via pur non di morire, senza sapere dove andare. È tremendo».

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DOPPIO CONFLITTO  Marcattilii è arrivato a giugno scorso. Ma lo Shakhtar ha dovuto lasciare Donetsk e il Donbass nel 2014, con l’inasprirsi della crisi. «Si sono spostati su Kiev e hanno deciso di giocare lì. Adesso si trovano di fronte una seconda guerra». A Kieve Marco aveva portato la sua famiglia: «Una città bellissima, dove si vive bene, con scuole internazionali di altissimo livello». La sosta invernale del campionato ha cambiato i piani. «Siamo tornati in Italia e poi siamo andati in Turchia per la preparazione. Avremmo dovuto ricominciare il 26, giocando a Kharkiv, una città bombardata tantissimo. Avevo fatto tornare la mia famiglia in Italia prima, perché comunque la situazione non lasciava ben sperare. Almeno loro sono stati al sicuro». Ora, dopo l’abbraccio a moglie e figli, l’obiettivo è tornare: «Abbiamo lasciato parecchia gente, calciatori ucraini, tante persone conosciute in questi sette mesi, qualcuno si è arruolato. Non saremo mai felici finché il grande popolo ucraino non sarà libero come noi».

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