Pescara, tentò di avvelenare il marito: Lady Coumadin condannata a 13 anni di carcere

Pescara, tentò di avvelenare il marito: Lady Coumadin condannata a 13 anni di carcere
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Giovedì 5 Novembre 2020, 09:08

Condanne pesantissime a Pescara per Daniela Lo Russo, ormai nota come Lady Coumadin, la donna accusata di avere tentato di uccidere l’ex marito con un potente anticoagulante in grado di provocare gravi emorragie interne, e per il figlio Michele Gruosso, chiamato a rispondere di tentato omicidio pluriaggravato al pari della madre. Il tribunale collegiale di Pescara, presieduto dal giudice Maria Michela Di Fine, ieri pomeriggio ha inflitto 13 anni e 8 mesi di reclusione alla donna.. E ha condannato a 12 e 8 mesi di carcere Gruosso. Pene più miti, ad 1 anno e 7 mesi, per Edwin Andrey Mosquera Zabala, il colombiano ingaggiato da Gruosso per compiere un pestaggio, in parte sventato, ai danni dell’ex patrigno, con l’obiettivo di accelerare le emorragie interne provocate dal farmaco, e a 8 mesi per Marco Giorgio Faggion, che invece mise in contatto Gruosso e Mosquera. Faggion e Mosquera sono stati riconosciuti responsabili del reato di lesioni personali in concorso, ma non erano a conoscenza delle reali finalità dell’aggressione.

Sull’entità delle condanne di Lo Russo e Gruosso, oltre alle prove schiaccianti, ha indubbiamente pesato anche la condotta ostruzionistica tenuta dai due imputati nel corso del processo, caratterizzata da improvvise indisponibilità a partecipare alle udienze, a causa di malori o incidenti avvenuti all’ultimo istante, che hanno dato vita a numerosi rinvii. Un tentativo di far saltare discussione e sentenza è stato compiuto anche ieri da Gruosso, che proprio in apertura di udienza ha inviato sul cellulare del suo avvocato un modulo del pre-triage dell’ospedale di Pescara, senza data e con la sola firma dell’imputato, nel quale si attestava che aveva la febbre a 38.8. Le immediate verifiche disposte dal giudice hanno invece consentito di accertare che, sulla base della scheda ufficiale compilata dal personale del pronto soccorso, Gruosso si era effettivamente presentato in ospedale, ma la temperatura rilevata era di 36.2. A quel punto, preso atto che non esisteva alcun impedimento a comparire, il giudice ha dichiarato aperta la discussione.

Il primo a prendere la parola è stato il pm Di Stefano, che ha fornito una dettagliata ricostruzione dei fatti, a partire dalla denuncia presentata da Lo Russo, in qualità di presunta vittima di una violenza sessuale, in seguito alla quale scattarono le intercettazioni telefoniche che fecero emergere il piano omicida. «Se non si fosse intervenuti con l’indagine e con le misure cautelari – ha detto il pm all’inizio della sua requisitoria – staremmo certamente parlando di un omicidio compiuto». Di Stefano ha citato le perizie “che attestano chiaramente come le somministrazioni di Coumadin fossero perfettamente idonee a provocare il decesso” e ha ricordato che “l’ultima somministrazione del farmaco prima degli arresti, avvenuta il 18 luglio 2016, generò livelli assolutamente superiori al range terapeutico ed in grado di causare emorragie spontanee, nonostante i medici avessero dato al paziente vitamina K per favorire la coagulazione».

Secondo il pm «basta leggere il bugiardino del farmaco, rinvenuto in casa dell’imputata, per comprendere che Lo Russo fece esattamente il contrario di ciò che era indicato, come ad esempio la puntura alla spalla che la vittima riferì di avere subito». Quindi Di Stefano si è soffermata sull’aggressione organizzata «per aggravare la situazione clinica della vittima e provocarne il decesso, come confermano le dichiarazioni di Mosquera, al quale Gruosso disse che la vittima doveva finire in ospedale e perdere sangue». In definitiva, a giudizio, di Di Stefano «i due imputati hanno dimostrato una freddezza assoluta, senza mai mostrare alcun ripensamento e non ci sono dubbi neanche sulla sussistenza della premeditazione, dal momento che hanno avuto un lasso di tempo molto lungo per organizzare il piano criminoso e hanno fabbricato ricette e timbri falsi». Infine il movente. «In aula Lo Russo ha affermato che voleva dimostrare al marito che non poteva fare a meno di lei, lasciando intendere che fosse un tentativo per ricucire – ha rilevato il pm – ma in realtà l’imputata aveva un amante, il quale ci ha raccontato che avevano in mente di andare a vivere insieme e che soltanto alcuni problemi economici, legati a questioni di proprietà, impedirono a Lo Russo di lasciare il marito».

Di Stefano ha dunque chiesto 17 anni di carcere per l’imputata e 13 anni per il figlio. Il giudice ha attenuato leggermente l’entità delle condanne, ma ha inflitto ai principali imputati pene comunque molto dure. 

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