"Ci vediamo all'alba" al Teatro Zeta
dell'Aquila e al Florian di Pescara

"Ci vediamo all'alba" al Teatro Zeta dell'Aquila e al Florian di Pescara
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Mercoledì 6 Novembre 2019, 18:37
L'AQUILA - Domani 7 novembre  al Teatro Gran Teatro Zeta dell’Aquila alle 21 e il 19 e 20 novembre al Teatro Florian di Pescara alle 20.45, andrà in scena lo spettacolo "Ci vediamo all'alba" di Zinnie Harris per la regia di Silvio Peroni, con Francesca Ciocchetti e Sara Putignano per una produzione Khora.Teatro e Compagnia Mauri Sturno. Traduzione a cura di Monica Capuani. Lo spettacolo è inserito nel cartellone del Gran Teatro Zeta dell'Aquila e in quello el Florian di Pescara.

Due donne (Robyn e Hellen) si trovano su una spiaggia lontana dopo un violento incidente in barca. Stordite dall’accaduto, cercano un percorso verso casa. La terra sconosciuta nella quale sono giunte non è ciò che sembra e pur restando insieme sono distanti l’una dall’altra più che mai. Sembrano una coppia felice di essere sopravvissuta, tante sono le domande: dove sono? Perché non possono tornare a casa? Perché Robyn è ossessionata da immagini di un'altra versione più terribile della realtà? Tutto ciò è misterioso; forse non del tutto per coloro che hanno vissuto nella loro vita dolori e feroci fantasie. Uno spettacolo di 75 minuti in cui il testo di Zinnie Harris tocca i temi che toccano di più l’animo umano: la paura, la desolazione e l’amore. Incredibilmente onesto e lirico, “Ci vediamo all’alba” è una favola moderna che esplora il trionfo dell'amore, il mistero del dolore e la tentazione di perdersi in un futuro fantastico che non verrà mai. Corto, teso, bello, avvincente e quasi perfettamente modellato il testo è ispirato, in parte, alla leggenda di Orfeo ed Euridice nell'antica ricerca del partner perduto. Eppure i suoi echi letterari sono più ampi e profondi: da “Mary Rose” di J. M. Barrie, a “A porte chiuse” di Sartre fino alla Dodicesima Notte. 
E quando Robyn chiederà "Che paese, amici, è questo?", la risposta è che si tratta di un paesaggio emotivo creato dall’autrice, in un classico del XXI secolo pieno di una sua poesia appassionata, del suo amore e della sua stessa disperazione.


«Un lavoro incentrato sugli attori - spiega il regista Silvio Peroni - sulla capacità di raccontare e sulle relazioni che si dovrebbero stabilire fra autore, attore e spettatore; un triangolo comunicativo che pone l’accento sul messaggio del testo e sulle immagini emotive che le parole del testo ricreano. Il messaggio potrebbe perdere di valore nel momento in cui l'attenzione viene focalizzata sulla spettacolarità della rappresentazione e progressivamente si perderebbe anche l'attitudine nel riflettere sul perché si è scelto di mettere in scena un determinato testo. L’urgenza di comunicare un messaggio viene spesso relegata a una dimensione meramente estetica. Viene meno, dunque, la riflessione che il pubblico dovrebbe fare al termine dello spettacolo, che esuli da una prima analisi tecnica o qualitativa. Il messaggio del testo è quasi sempre più complesso e articolato della visione univoca del regista: sarà lo spettatore, che a seconda della sua provenienza sociale e culturale, percepirà in modo individuale le molteplici sfumature di un testo».

Da dove nasce la scelta di metter in scena questo testo?
«La scelta di un testo è sempre un momento che ha poco a che fare con una scelta razionale; certo le ragioni le si cercano e le si trovano dopo ma sicuramente la prima lettura è influenzata dal periodo che sto vivendo e da quante affinità riesco a trovare con quello che leggo. Sicuramente il tema di “Ci vediamo all’alba” mi coinvolge molto, l’accettazione della perdita e la fascinazione delle realtà parallele sono tematiche che trovo molto vicine e che avevo già affrontato in spettacoli precedenti». 
 
Perché la drammaturgia contemporanea anglosassone?
«Non c’è una volontà geografica nella scelta iniziale di un testo, sicuramente il mondo anglosassone - con la sua prolifica produzione drammaturgica -  si avvicina molto ad una mia idea di teatro, ma escludendo la provenienza geografica trovo più interessante cercare di definire il termine contemporaneo.  La definizione Teatro Contemporaneo crea una separazione fra un tipo ed altri tipi di teatro, ma quali sarebbero? Il Classico, il teatro di figura, il teatro ragazzi, il teatro di narrazione? Il teatro dovrebbe avere un solo genere possibile, definito come tale in base alle sue caratteristiche immutabili: pubblico, attore, drammaturgia e regia, che coesistono e mutano con il mutare del tempo e del luogo. La contemporaneità in teatro, cioè il teatro contemporaneo, altro non è che il rapportarsi fra questi quattro elementi in un determinato tempo e contesto sociale. Ogni autore, dagli albori ad oggi ha sempre scritto per i suoi contemporanei attingendo alle “cose” della vita reale. Il classico ed il contemporaneo hanno in comune molti elementi ma uno su tutti è l’essere umano. Spesso si tende a confondere il termine contemporaneo con attuale, ma l’attuale in arte è da considerare alla stregua di una notizia giornalistica che termina quasi immediatamente o dopo poco tempo e già dopo qualche mese se ne perde la memoria. Un buon testo contemporaneo è legato da un fil rouge con il classico, di conseguenza, nel momento in cui cerco un testo cerco di coglierne la sua profondità tematica e di allontanarmi dalla provvisoria attualità».
 
Il tuo metodo di lavoro con gli attori?
«È un lavoro lungo e complesso. Spesso vedendo i miei spettacoli si ha l’impressione che siano recitati in modo semplice e che dietro a questa recitazione non ci sia un lavoro, ma per ottenere quella semplicità c’è un lunghissimo lavoro che inizia, con delle regole quasi dispotiche fin dalla prima lettura di un testo. Viviamo in una società della forma e del consumo e la stessa forma e consumo hanno ormai invaso anche gli ambienti artistici. Il mio lavoro con l’attore cerca di eliminare qualsiasi aspetto formale per arrivare alla crudezza dell’oralità quotidiana con la convenzione del luogo teatrale. Le cose da tenere in considerazione per un attore sono tante e lavoriamo stratificando ogni singolo elemento che condiziona l’essere umano: la relazione con l’altra persona, il luogo, il tempo, la biografia, le circostanze, le immagini mentali, la logica, il conflitto, l’azione, la visione del futuro, il tema dell’opera, l’atmosfera e così via; si lavora sul testo cercando e dividendo ogni elemento e durante ogni prova si focalizza un elemento fino a quando lo si acquisisce in modo quasi meccanico nella propria memoria procedurale, per poi  dimenticare il lavoro delle prove durante le repliche e lasciare agire il proprio corpo in modo autonomo. Chiedo scusa se mi sono addentrato troppo in tecnicismi ma serviva per fare capire che alle spalle, di qualcosa alla vista semplice e facile, c’è molta complessità e studio».
Informazioni ai numeri 0862-67335, 0862-404604, 329-7488830 o su teatrozeta.it. Via Rodolfo Volpe snc 67100 L'Aquila, Monticchio. 
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