Suicidio del generale Guido Conti: il giudice riapre l'inchiesta

Suicidio del generale Guido Conti: il giudice riapre l'inchiesta
di Patrizio Iavarone
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Venerdì 19 Luglio 2019, 09:32
Il caso non è chiuso, l’inchiesta da riaprire: perché sulla morte di Guido Conti, l’ex generale dei carabinieri-forestali trovato morto il 17 novembre del 2017 sul monte Morrone, ci sono ancora molte, troppe, ombre da illuminare. Così ieri il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Sulmona, Marco Billi, ha sciolto la riserva in merito all’opposizione presentata dalla famiglia all’archiviazione chiesta dalla procura, disponendo non solo che si approfondiscano i punti suggeriti dai familiari e dal loro avvocato, Alessandro Margiotta, ma dando anche ulteriori indicazioni su come scavare nella vita, e soprattutto sugli ultimi giorni di vita, di Conti.

La procura avrà tempo fino al 30 novembre prossimo per formulare eventualmente altre ipotesi, siano esse quelle dell’istigazione al suicidio, reato che era stato ipotizzato dal principio, o quelle di un vero e proprio omicidio, come d’altronde la stessa famiglia non esclude, contestando non solo il quadro psicologico del generale fatto dalla procura, ma anche alcuni elementi emersi dall’inchiesta e non sufficientemente approfonditi. In particolare sulla presenza di una Porsche Cayenne sul luogo del ritrovamento poco prima dell’ora presunta della morte, in una strada, tra l’altro, chiusa al traffico. E ancora la posizione composta nella quale la salma è stata ritrovata con la pistola in pugno che ha sparato alla tempia, e le telefonate fatte e ricevute dal generale in quei convulsi giorni, alcune provenienti da un numero intestato al comando dei carabinieri-forestali di Roma che non si sa a chi fosse in uso.

Il filone più robusto di dubbi è però sulla nuova attività di Conti, quell’incarico sul sito estrattivo di Tempa Rossa in Basilicata della Total, alle dipendenze della quale si era trasferito dopo aver lasciato in anticipo l’Arma. Con una data che appare dirimente, quella dell’8 novembre 2017, quando dopo un vertice nella questura di Potenza, Conti avrebbe confessato di essersi sentito abbandonato dagli amici in divisa, a partire dal capo della squadra mobile, suo amico e figlio di un suo collega di corso, che da un giorno all’altro, da quel giorno, lo avvolse da un gelo inaspettato. Di lì a qualche giorno, ha ricostruito finora la procura, Conti consegnò le sue dimissioni da quell’incarico delicato e che gli aveva cambiato completamente la vita: lui l’inquirente impeccabile, quello che aveva scoperto traffici di rifiuti internazionali (dalla discarica di Bussi alle inchieste toscane su Gesenu e Thyssen), si trovava ora a sedere “dall’altra parte” non potendo certo rinnegare i suoi valori per la legalità e per la legge.

Poi la cronaca degli ultimi giorni: le liti al telefono passeggiando per la sua Sulmona arrabbiato e distratto (cosa mai accaduta prima), i dati del computer da lui distrutti dando incarico ad un rivenditore in città, il prelievo fatto al bancomat poco prima di salire sul Morrone, la lettera lasciata come testamento alla famiglia, nella quale si fa riferimento alla tragedia di Rigopiano (nella quale lui aveva avuto un ruolo del tutto marginale), ma dove non si cita, neanche in un passaggio, la nuova esperienza alla Total. Un “testamento” fuorviante, insomma, che nascondeva forse un’altra verità. Una verità ancora tutta da scoprire.
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