Omicidio Rapposelli, il pm: «Simone chiamava la mamma bastarda, tr...». Oggi la sentenza

Omicidio Rapposelli, il pm: «Simone chiamava la mamma bastarda, tr...». Oggi la sentenza
di Teodora Poeta
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Venerdì 4 Settembre 2020, 10:34

È attesa per il tardo pomeriggio di oggi la sentenza per l'omicidio della pittrice di AnconaRenata Rapposelli, uccisa per motivi economici, secondo la ricostruzione della procura di Teramo, dal figlio Simone Santoleri e dall'ex marito Giuseppe (con il quale, però, non aveva mai divorziato) nella loro casa a Giulianova. L'accusa ha già chiesto l'ergastolo per Simone e 24 anni di carcere per Giuseppe. Alle 10  di oggi è iniziata l'arringa del primo difensore del figlio della pittrice, l'avvocato Gianluca Carradori, dopodiché toccherà al secondo difensore, l'avvocato Gianluca Reitano. Al termine i giudici della Corte d'Assise si ritireranno in camera di consiglio per la sentenza.
Pittrice uccisa, marito e figlio si rivedono al Tribunale del riesame
«C’è stato uno stratagemma ordito dagli imputati per attirare Renata lì, in quella casa a Giulianova». Ieri ha impiegato sette ore, ieri, il pm Enrica Medori per ricostruire l’intera vicenda dell’omicidio della pittrice scomparsa il 9 ottobre del 2017 e ritrovata poi cadavere l’11 novembre sul greto del fiume Chienti. L’accusa ha chiesto per il figlio Simone Santoleri il massimo della pena, l’ergastolo, mentre per l’ex marito Giuseppe 24 anni di carcere, entrambi finiti a processo per omicidio volontario in concorso aggravato dal vincolo di parentela e soppressione di cadavere. Movente del delitto 200 euro di mantenimento che Giuseppe doveva versare a Renata oltre a due anni di arretrati così come aveva stabilito il Tribunale di Ancona. Soldi ai quali la pittrice non voleva e non poteva rinunciare perché senza nessun’altra entrata economica in attesa della pensione che presto le sarebbe arrivata, dopodiché sarebbe stata disposta ad un accordo. Ma padre e figlio avevano entrambi un «rapporto ossessivo con il denaro».
Pittrice uccisa, aveva paura dell'ex marito ora indagato per l'omicidio
Simone gestiva i soldi di Giuseppe e non avrebbe mai permesso che la mamma gli portasse via neanche un centesimo. «Anche dopo la morte di Renata – ha evidenziato il pm nella requisitoria – non è mai emerso dalle intercettazioni nessuna parola di compassione nei confronti di Renata, ma solo disprezzo tanto da chiamarla bastarda e troia». La ricostruzione dell’accusa parte dai tabulati telefonici: in due anni Renata e Giuseppe hanno solo 19 contatti che si intensificano tra il primo e il 9 ottobre di quel 2017 con 17 contatti. «Renata non sarà stata una mamma che stirava le camicie – ha detto il pm Medori -, ma il suo istinto materno l’ha spinta a salire su quel treno per Giulianova ed è andata a trovare Simone, convinta che lui avesse un tumore, nonostante sua figlia Maria Chiara volesse impedirglielo». Secondo l’accusa, a Simone «gli è sfuggita la mano della situazione, mentre Giuseppe reggeva i piedi della vittima». Il “mansueto” Giuseppe che ha sempre avuto timore del figlio, un padre considerato da Simone «il suo anello debole».

Una vicenda con mille bugie e tante versioni diverse date dagli imputati sia agli inquirenti, sia ai cronisti che sin da subito si sono appassionati al caso. L’accusa, però, ieri, non ha avuto alcun dubbio: «Renata è caduta in una trappola». E ha anche chiesto la trasmissione degli atti alla Procura per le dichiarazioni di Cinzia

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