Approda sui giornali statunitensi la storia di Diana Di Meo, la ventiduenne arbitra pescarese di calcio che, la scorsa settimana ha denunciato la diffusione sui social di un video personalissimo che le sarebbe stato sottratto dal telefonino. Nella terra dove la sensibilità verso la privacy è altissima e dove, per contrappeso, la normativa sull'utilizzo dei dati personali è in continuo divenire, la vicenda di Diana non poteva non avere un'eco rilevante.
Ha trovato spazio sul The Sun e sul New York Post il video che la ragazza ha postato su Instagram raccontando i due giorni terribili passati chiusi in casa, letteralmente sotto choc, per poi arrivare alla decisione più difficile e più giusta, quella di uscire allo scoperto: denunciando la violenza personale subita e rendendola pubblica. Per togliere ad una storia già brutta di per sé quel velo di falso segreto dietro cui si nasconde ogni genere di commento.
La Procura, proprio in questi giorni ha aperto un fascicolo contro ignoti: la sottrazione di immagini e la loro diffusione senza il consenso della persona interessata, è un reato da codice rosso ed ha una procedura di indagine accelerata proprio per la necessità di tutelare nel più breve tempo possibile l'immagine devastata della persona offesa. Una volta acquisita la denuncia, i magistrati potrebbero decidere di ascoltare le persone più vicine alla ragazza. Questo in attesa dei tempi richiesti dalle indagini tecniche.