Pescara, vende la figlia di 10 anni ai pedofili e si suicida. Sotto accusa gli aguzzini (uno 91enne)

Pescara, vende la figlia di 10 anni ai pedofili e si suicida. A processo gli aguzzini (uno 91enne)
di Stefano Buda
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Martedì 16 Febbraio 2021, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 15:01

Una bambina innocente vittima di violenze, abusi sessuali e perversioni. E’ una storia da film dell’orrore quella che invece, purtroppo, si è svolta realmente, in una località della provincia di Pescara, tra il 2010 e il 2019. I due aguzzini, che oggi hanno 91 e 67 anni, sono finiti davanti al Gup del tribunale di Pescara con l’accusa di violenza sessuale. Al più anziano, ovvero l’imputato maggiormente coinvolto nell’inchiesta, si contesta anche il reato di atti persecutori, poiché continuò a tormentare la vittima dopo che quest’ultima aveva troncato i contatti.

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Uno degli aspetti più sconcertanti, tuttavia, è che fu proprio la madre della piccola, una prostituta tossicodipendente, a dare la figlia in pasto ai due pedofili. Dalla lettura del capo d’imputazione emerge infatti che la donna, in cambio di danaro, costrinse la figlia, talvolta anche picchiandola, ad avere rapporti sessuali completi con l’uomo oggi 91enne. «Arrivando persino a prelevarla dall’abitazione dei nonni paterni – scrive la Procura - ai quali era stata successivamente affidata dal tribunale dei minori, per poi raggiungere insieme all’imputato luoghi appartati, ubicati in varie località, ove quest’ultimo, con la compiacente presenza della madre, continuava ad avere rapporti sessuali completi con la minore».

Gli abusi, iniziati quando la piccola non aveva ancora compiuto 10 anni, si ripeterono con cadenza quasi settimanale. La vittima riuscì a liberarsi dai suoi aguzzini soltanto dopo avere compiuto 17 anni, qualche tempo prima che la madre si suicidasse. L’imputato più anziano però non si rassegnò mai a quella rottura e per un anno e mezzo, da giugno del 2017 a gennaio del 2019, tempestò la ragazzina con più di 200 chiamate, quasi tutte senza risposta. Inoltre, «non riuscendo nell’intento di riallacciare alcun tipo di rapporto – si legge ancora sul capo d’imputazione – avendogli la ragazza espresso nelle sue rare risposte un netto diniego», iniziò a presentarsi nei luoghi frequentati dalla vittima, dunque a scuola, alla fermata dell’autobus e nei pressi della scuola guida. «Creandole uno stato di ansia e di perenne timore di essere seguita – mette in rilevo la Procura – tanto da superare la vergogna provata per il suo passato e sporgere querela».

Per dimostrare la fondatezza delle accuse, la ragazzina fornì agli inquirenti il proprio cellulare, senza sapere che erano già in corso delle intercettazioni. Inoltre, nel maggio del 2019, registrò alcune conversazioni telefoniche, nel corso delle quali l’imputato le chiedeva insistentemente di poterla vedere e ammetteva di voler fare sesso con lei. Pochi giorni dopo il Gip emise una misura cautelare di divieto di avvicinamento alla ragazza. Parallelamente l’inchiesta fece il suo corso: la vittima indicò ai carabinieri i luoghi degli abusi, furono ascoltati diversi testimoni e la psicologa incaricata dai servizi sociali fece sapere di ritenere pienamente attendibili i racconti della ragazza. Dopo il rinvio della prima udienza preliminare, a causa dell’indisponibilità di un avvocato, si tornerà in aula il 24 giugno. Il Gup Nicola Colantonio dovrà decidere se mandare a processo gli imputati.

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