Colonnello indagato per un viaggio a Roma. «Ero sotto pressione per Rigopiano»

Colonnello indagato per un viaggio a Roma
di Stefano Buda
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Giovedì 24 Settembre 2020, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 09:46

Il tenente colonnello dei carabinieri Massimiliano Di Pietro è indagato per peculato d’uso. Si tratta di un’inchiesta delicata e spinosa, su un ufficiale molto stimato negli ambienti della Procura, con la quale Di Pietro operò gomito a gomito nei cinque anni in cui guidò il nucleo investigativo del comando provinciale di Pescara. Il tenente colonnello, assistito dagli avvocati Giovanni Legnini e Marco Femminella, è già stato interrogato dal sostituto Fabiana Rapino, che ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini.

I fatti risalgono al 2017. A Di Pietro viene contestato di essersi servito dell’auto di servizio per accompagnare il figlio a Roma, in occasione di una visita medica. La trasferta impegnò l’intera mattinata. Alla base dell’inchiesta un esposto anonimo, che con ogni probabilità è stato presentato da qualcuno che conosceva molto bene programmi e spostamenti dell’indagato. In sede d’interrogatorio Di Pietro non ha negato il fatto, ma si è difeso innanzitutto evidenziando che, considerando i costi generati dall’utilizzo del mezzo, il danno pecuniario risulta pressoché irrilevante. Inoltre ha riferito che in quel periodo, nel pieno delle complesse indagini sul disastro dell’Hotel Rigopiano e mentre era alle prese con altre inchieste impegnative, si trovò a dover sostenere una forte pressione e per questo cercò di organizzarsi, anche sul piano logistico, allo scopo di ottimizzare i tempi degli spostamenti. Argomenti che nei prossimi giorni potrebbero anche indurre la Procura a non esercitare l’azione penale e a chiedere l’archiviazione.

La carriera. Di Pietro, prima di assumere il comando del nucleo investigativo della città adriatica, era stato in servizio a Bologna e poi a Penne. Nel corso della sua parentesi pescarese prese parte a diverse operazioni di rilievo, come quella che portò all’arresto dell’autore del duplice omicidio di due cittadini ucraini, madre e figlio, avvenuto nel gennaio 2016 in via Tibullo. In seguito si occupò del femminicidio di Jennifer Sterlecchini, la ragazza assassinata dall’ex fidanzato Davide Troilo e due anni dopo condusse le indagini sull’omicidio, tuttora irrisolto, di Alessandro Neri. Tra tante soddisfazioni anche una grande amarezza, legata al suo temporaneo coinvolgimento in una delle varie inchieste sui depistaggi veri o presunti riguardanti il caso Rigopiano. Di Pietro fu tirato in ballo da un esposto presentato dal padre di Stefano Feniello, una delle 29 vittime, con l’accusa di avere trasmesso con un anno e mezzo di ritardo, pur essendone in possesso fin dalle prime fasi delle indagini, gli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti dal Ris sul telefono del cameriere del resort Gabriele D’Angelo. Il giudice, in linea con quanto chiesto della stessa Procura, archiviò tutto, ritenendo che non ci fossero elementi penalmente rilevanti. Ora Di Pietro è alle prese con una nuova grana, i cui esiti appaiono molto più incerti.
 

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