Sulla vicenda la procura di Pescara archiviò il procedimento non rilevando responsabilità sanitarie. Caso passato poi in sede civile con un lungo procedimento che ha visto interessati tre giudici e tre periti nominati, con conclusioni anche diverse sulle cause della morte della donna. Gli eredi erano patrocinati dalle avvocatesse Maria Ida Troilo e Daniela Frini che hanno chiesto la condanna della Asl: «Accertato che la procedura eseguita all’esame coronarografico non è stata conforme alle regole dell’arte, né effettuato con la dovuta prudenza, diligenza e perizia, ritenuta la sussistenza di un nesso eziologico tra gli esami eseguiti e l’avvenuto decesso». A sugellare le responsabilità anche la perizia di parte dell’anatomopatologo Domenico Angelucci, giunto a identica valutazione del perito d’ ufficio Enrico Catarinozzi, de La Sapienza di Roma. Il difensore dalla Asl, l’avvocato Tommaso Marchese, aveva chiesto di rigettare il ricorso, infondato in fatto e diritto, e di condannare le controparti alle spese di giudizio.
Il 25 gennaio la paziente venne sottoposta ad esame poi la notte ci furono dolori lancinanti, la gamba era caldissima, con evidenti segni infettivi, ma le fu solo allentato il bendaggio senza alcuna profilassi antibiotica o altri controlli clinici e laboristici, come rilevazione della temperatura e analisi dell’emocromo. Il giorno dopo la morte per batteremia multiorgano scatenata dalla coronografia e la non perfetta sterilità del catetere introdotto. A causare lo scompenso cardiaco aritmogeno sarebbe stata la disseminazione batterica.
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