Nell'ambito del processo canonico l'imputato era stato condannato all'interdizione perpetua dallo svolgimento di attività parrocchiali a contatto con i minorenni, alla sospensione per tre anni dal ministero sacerdotale, all'obbligo di dimora per cinque anni all'interno di un monastero di Roma e alla prescrizione di un "percorso psicoterapeutico". Ma i giudici della Cassazione hanno giudicato inammissibile l'istanza del difensore Milia e pertanto ieri è ripreso il processo davanti ai giudici del tribunale di Pescara che ha differito la decisione sulla stessa eccezione riproposta dalla difesa, al termine del dibattimento. E' stato a quel punto che la difesa di don Vito Cantò ha optato per il rito abbreviato condizionato, che è stato accolto dal collegio, con le contestuali richieste della difesa. E cioè di acquisire la documentazione relativa ad una chat tra la persona offesa ed altre persone, avvenuta tre anni dopo i fatti contestati al prete e che sono oggetto del processo.
La vittima di questi presunti abusi venne a suo tempo sentita nel corso di un incidente probatorio alla presenza di due esperti nominati dal gip che stabilirono l'attendibilità del ragazzo e, di conseguenza, delle accuse che mosse nei confronti del prete. «Don Vito mi ha detto: "vado a fare la doccia. Lascio la porta aperta, se vuoi mi puoi raggiungere" e io andai». E' uno dei passaggi del racconto della vittima che ricevette le attenzioni del parroco all'interno dell'abitazione di quest'ultimo. Una vicenda che venne fuori grazie alla collaborazione di un'amica del ragazzo che parlò con i genitori della vittima.
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