ONDINA VALLA/1 Dagli inizi alla medaglia olimpica nel 1936

Ondina Valla
di Enrico Cavalli
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Martedì 4 Ottobre 2022, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 23:20

L'AQUILA Sei anni or sono, dalla lodevole iniziativa presso il Teatro comunale dell’Aquila, di uno spettacolo sulla prima atleta italiana olimpionica a Berlino 1936, Trebisonda Valla (così, per desiderio del padre, Gaetano, affascinato dalla città turca menzionata nella medievale novella araba “Le Mille e una Notte”), come noto, di nascita felsinea il 20 novembre 1916, l’unica femmina con quattro fratelli, ma in terra abruzzese a fine anni ‘40. Quella “kermesse” bissò con rinnovati motivi di attrazione extra pubblico sportivo, per quantità e qualità di cimeli, foto, documenti d’antan relativi al personaggio, quanto andato in scena nel 2008, ai saloni della Carispaq, sotto i Portici ottocenteschi.

Tanto in prima esposizione che in seconda occasione (agli 80 anni dall’evento a cinque cerchi berlinese), potevano esserci contestualizzazioni della Valla rispetto allo sport locale; la qualcosa, occorrente, per non slegare l’atleta dalla memoria collettiva; qui, potevano servire, i contributi volti a riannodare le trame di un discorso sportivo aquilano, in mancanza di catalogazioni archivistiche precise (in questo senso, la mostra del 2015 sui “100 Anni di Calcio Aquilano” a cura del Supporters’ Trust Laquilame’, fu un meritorio, volontaristico e non più sostenuto tentativo di “ordinare” la materia sportiva locale).

Valutazioni, queste, su di un tema libero, perciò, liberissime anche le opposte visioni, si intenda, e, sommessamente, ne prendiamo atto, tuttavia, ci sia consentito di dire che il tempo della ricostruzione post sisma ‘09, se è collettiva, come più volte sbandierato, pure, passerebbe per sinergie morali ad ampio raggio, senza autoreferenzialità e/o pregiudiziali ideologiche, che talora si ravvisano nella vita civica (forse, qui..., “L’Aquila come era… così è”). Scusandoci, per l’ardire e omissioni eventuali, interveniamo sull’argomento anche per compendiare il rapporto fra la grande olimpionica e la città che l’accolse, per la “vulgata” nel 1953.

Ugualmente alla scelta del nome di Trebisonda, prevalse, ancora, la volontà del padre che spinse la figlia a fare sport o meglio a dedicarsi alla “disciplina regina”, l’atletica, mentre, la madre Andreina, avrebbe preferito farle intraprendere un cammino nella danza o musica, come per quei tempi si conveniva alle giovani aventi del talento di settore.

Il 23 giugno 1927, ad undici anni, Trebisonda esordisce a livello di gare scolastiche, conseguendo 1,10 metri nel salto in alto, terzo posto nei 50 metri piani e nel lungo con un 3,52, al cospetto del maggiore delle Esercito Vittorio Costa, l’organizzatore dei “Littoriali” di Bologna, assai attento alle evoluzioni di questa atleta in erba. Convocata in azzurro al “meeting” di Napoli dalla Commissaria tecnica Martina Zanetti, la Valla, alta 1.73 per 66 kg., una filiforme e versatile in varie specialità, sfrecciava ai 100 metri, staffetta veloce, 80 metri ad ostacoli, lungo, alto firmando “record” italiani a Firenze; in occasione di un confronto Italia-Belgio del 1930, venne tesserata assieme all’amica e validissima tecnicamente Claudia Testoni della Sportiva Virtus Bologna, con la quale darà vita ad una rivalità fatta di 111 gare ufficiali.

Dopo la mancata e discussa partecipazione delle donne alle Olimpiadi estive di Los Angeles del 1932, per i veti all’ingresso del “gentil sesso” da parte del Comitato olimpico internazionale, le autorità sportive italiane, avvertendo che quei “lacci” stavano per cadere, assoldarono Boyd Comstock, l’allenatore indo-statunitense per modernizzare l’atletica femminile, il che a dirla lunga su falle del nazionalismo e/o maschilismo imperante, ma, importava, che sugli scudi delle azzurre in “tartan”, ci fosse Ondina, tale diminutivo affibbiatole dalla Zanetti, e reduce da quattro titoli alle Universiadi di Torino del 1933 (100 metri, salto in alto, 80 ostacoli, staffetta 4x100), undici vittorie nazionali agli 80 metri ad ostacoli e di cui, proprio, sarà la medaglia d’oro berlinese, un evento memorabile per lo sport italiano.

Fortemente voluti dal Fuhrer, per esibire al mondo la Germania nazionalsocialista, i X Giochi dell’era moderna, cominciarono il primo agosto 1936, col particolare per la prima volta, della fiaccola accesa ai resti greci di Olimpia e che entrò al cospetto dei centomila astanti fra i gradoni del gigantesco “Olympiastadion” di Berlino, il tutto ripreso dalla regista del lungometraggio “Olimpia”, Leni Riefenstahl e dalla sperimentale televisione a circuito chiuso.

In archivio l’eliminatoria, il 5 agosto ‘36, Valla e Testoni (che alloggiano assieme alle altre cinque atlete in un convento della capitale del III Reich germanico), entrarono alle semifinali, incredibilmente, eguagliando Ondina in 11”60 il record del mondo, pur se per omologato con vento favorevole di 2,8 metri al secondo (non allora, in vigore la regola dei 2 m/s quale limite massimo).

Al 6 agosto della fatidica finale, le due atlete non giungono al massimo della forma e cercano di aiutarsi con “zollette di zucchero al liquore”, eppure, la Testoni parte fortissimo, finché non si vede gradualmente sorpassata dalla falcata della Valla lesta a saltare gli ostacoli, per un “rush” finale che vede quattro atlete con lo stesso tempo, 11”7.

Momenti concitatissimi per le atlete e cronometristi che in base alla avveniristica “zielzeitkamera”, diedero prima l’argento, poi il bronzo, infine, il quarto posto alla Testoni, avente l’uguale 11” 809 della canadese Betty Taylor (la valorosa atleta azzurra, si sarebbe rifatta con l’Europeo del 1938), soprattutto, il “fotofinish” sentenziò l’11” 748 della Valla davanti alla tedesca Anny Steuer: risuonò la “Marcia Reale” (per altre fonti, l’inno “Giovinezza”), il tricolore spiccava sul pennone più alto dello stadio berlinese, mentre Ondina venne adornata dal membro italiano del Cio, il generale Giorgio Vaccaro, dell’oro e “quercina” di settanta centimetri con teca di porcellana e scritta “cresci per onorare la memoria, sii di sprone a nuove gesta”, stabilita per atleti vittoriosi.

Come antesignana donna olimpionica italiana, venne tanto elogiata dalla sua Bologna ed in patria. Il Duce, la elevò a modello del femminismo di regime ed anzi pretendendo che in onore della Valla, fosse istallato quel “quercino”, all’ingresso dello stadio bolognese “Littoriale”, l’impianto-gioiello voluto dal “ras” dello sport felsineo e nazionale, Leandro Arpinati nel 1927. Valla, ricevette in premio anche un cronometro, diecimila lire, l’abbonamento al F.C.Bologna, il privilegio della foto-dedica della regina Elena di Savoia ed un riconoscimento di ordine familiare, perché il fratello Rito, scultore, la ritrasse nella statua dell’“Ostacolista” posta alla sede bolognese della Gioventù del Littorio e dal 1945, davanti alla fabbrica dolciaria di Bruto Carpigiani l’emiliano inventore delle macchine automatiche e fan della olimpionica.

Non pare adagiarsi sugli allori, la Valla che accusato il colpo del passaggio della Testoni alla S.S. Venchi Unica di Torino, piglia il primato italico del salto in alto a 1.43 mt., nel 1937, maggiorato ad 1.56 nel 1940 (battuto nel 1955), come pentatleta in forza alla S.S. Parioli di Roma che nel 1943, allena così come farà per la Società Atletica di Ferrara, ma, l’irrompere delle ostilità belliche in Italia, non consentirono altre imprese di spicco per la grande azzurra, che resterà sempre un modello di riferimento per le giovani avviantesi allo sport.

Enrico Cavalli

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