Per il resto il supplemento di indagini che il giudice aveva chiesto di fare alla procura, respingendo l’archiviazione del caso come richiesto dalla famiglia di Conti, è stato di fatto concluso: il chiarimento sulla presenza di una Porsche Cayenne nella zona (chiusa al traffico) quel giorno, l’escussione di alcuni testimoni tra cui alti gradi dell’Arma che nei giorni precedenti alla morte chiamarono sull’utenza di Conti e alcuni dei vertici di Total a servizio della quale, sul discusso sito petrolifero di Tempa Rossa in Basilicata, il generale era stato “arruolato” un mese prima della sua morte. La pista del nuovo incarico, che si sia trattato di suicidio, istigazione al suicidio o ancora di omicidio, resta d’altronde quella maggiormente battuta dagli inquirenti e, in un cero senso, anche quella più logica, essendo stato per lui quel cambiamento un motivo di stravolgimento di vita e di ambiente.
La tesi dell’omicidio, che pure era stata ipotizzata nelle memorie dell’avvocato di famiglia, Alessandro Margiotta, sembra tuttavia essere sfumata dalla ulteriore verifica sulla dinamica del presunto suicidio e sulla posizione in cui Conti venne ritrovato che, secondo il perito, sarebbe compatibile con un colpo sparato dalla stessa vittima alla tempia. Una volta aggiunto il tassello del Dna (tanto quello del mozzicone di sigaretta, quanto quello del sangue ritrovato sui suoi abiti) la procura dovrebbe avere il quadro più chiaro e procedere, di conseguenza, ad avanzare la sua richiesta al Gip: che sia quella di una reiterata archiviazione o quella di un’ipotesi di istigazione al suicidio, ipotesi di reato da cui ci si è mossi sin dall’inizio due anni fa, quando il corpo del generale, famoso per le sue scomode inchieste in tema di violazioni ambientali, venne ritrovato sotto un albero del suo amato Morrone.
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