L’indimenticato Remo Celaia a 50 anni dalla morte: «Un grande aquilano»

Remo Celaia
di Walter Capezzali
3 Minuti di Lettura
Domenica 14 Giugno 2020, 15:43 - Ultimo aggiornamento: 21:52
Remo Celaia, giornalista aquilano, chiudeva il 14 giugno di 50 anni fa, la sua pagina esistenziale dopo dieci giorni di agonia tra le impotenti premure dei medici del San Salvatore, reduce come era da un tragico incidente stradale. Scompariva allora una delle più autorevoli firme della stampa aquilana, primo giornalista professionista d’Abruzzo, penna elegante ed efficace, coraggiosa ed incisiva, maestro per una larga schiera di giovani che in gran parte ancora oggi sono in varia misura alle prese con il “mestiere” dell’informatore sociale o che hanno già affidato ad altri giovani il suo insegnamento.

E’ da poco trascorso (18 giugno 1920) il centenario della sua nascita; aveva conosciuto la detenzione in un lager tedesco, aveva brillato sulle cronache di ormai defunti quotidiani, dal Popolo d’Italia al Momento Sera, più tardi corrispondente della fiorentina Nazione, infine come inviato speciale del Giornale d’Italia. Non aveva dimenticato la sua città natale, dando vita ai primi periodici che portano il suo nome: L’Aquila Film (1947) e il notissimo Temé (1950). Fu per breve tempo anche corrispondente del quotidiano romano Il Tempo.

Sarà Il Messaggero, nel 1957, ad affidargli la redazione aquilana inaugurando la serie delle intense pagine di cronaca quotidiana che porteranno a primati mai battuti la diffusione del giornale nell’Aquilano. Scomodo perché coraggioso, dovette lasciare l’incarico e, dopo un periodo trascorso a Roma per curare il “Notturno dall’Italia” della Rai, darà vita al combattivo settimanale L’Aquilasette, imponendolo autorevolmente nelle abitudini di lettura degli aquilani e degli emigranti abruzzesi in Italia e all’Estero.

Scrittore di vaglia, sincero difensore degli interessi cittadini, non ebbe remore nel criticare rilevanti personalità, da un questore a un provveditore agli studi, a non pochi politici abruzzesi; con il suo settimanale, aveva dato vita ad una documentata campagna in difesa del ruolo di capoluogo regionale, quando un giovedì, dopo aver appena riportato da Roma dove si stampava L’Aquilasette, ripartito per Avezzano dove la seconda moglie attendeva la prossima nascita di una figlia, forse per un colpo di sonno usciva straziato nel fisico dalla galleria di Genzano.

Era il 14 giugno del 1970; quel giorno, prima di partire per il suo ultimo viaggio, aveva abbracciato chi scrive questa nota, suo allievo e nipote, che compiva i suoi primi trent’anni degli ottanta di cui ha appena tagliato il traguardo nei giorni scorsi. Essere stato al fianco di questo gigante del giornalismo abruzzese ed aver tentato di onorarne gli ideali e proseguirne l’azione, sono circostanze che in sintesi giustificano la firma posta in calce al presente raffazzonato ricordo. Al quale piace aggiungere pochi accenni che volemmo raccogliere dieci anni fa in un volumetto dedicato a Remo Celaia giornalista e Aquilano: «Se ho potuto costruirmi una storia professionale di cui non ho da pentirmi è perché ho avuto quella scuola» (Errico Centofanti); «polemista arguto e mordace..., un maestro della professione» (Gianfranco Colacito); «Maestro che ha insegnato non solo il lavoro e come rispettarlo, ma ha insegnato la vita» (Luigi Marra); «Libertà di giudizio nella testa, raccontare la realtà in modo che il lettore fosse messo in grado di capirla nitidamente» (Walter Tortoreto).

La professione onorata da Remo Celaia in epoche in cui non esisteva nulla della odierne tecnologie, quando si affidava l’ultimo “fuorisacco” al conducente dell’ultimo pullman per Roma e si dettavano per telefono agli stenografi le ultimissime notizie, attendendo trepidamente la mattina dopo per correre all’edicola più vicina e vedere se il “buco” lo avevi dato o subito...; quella, oggi, è una professione più che evoluta, materialmente cambiata: molte parole in meno, grandi titoli, molte foto spesso da riempitivo ineludibile, anche se tutt’altro che inedite. Ma quello che rimane del suo insegnamento: rettitudine, libertà, documentazione, efficienza, coerenza e- perché no?- bello scrivere, sono cose che chi vuole può ancora coltivare ed applicare.

Ai figli di “zio” Remo, Dorina, Elio, Rossella, ai loro figli, ai giovani apprendisti stregoni di ieri e ai loro più giovani eredi di oggi, il commosso ricordo e l’affettuoso saluto di questo modesto messaggio, suggerito e voluto da un affermato collega ed amico che oggi onora la professione e al quale non era possibile dire di no.
Walter Capezzali
© RIPRODUZIONE RISERVATA