In congedo familiare, va in Cina con il marito: licenziata. Il giudice dà ragione all'Università

In congedo familiare, va in Cina con il marito: licenziata. Il giudice dà ragione all'Università
di Alfredo D'Alessandro
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Domenica 29 Dicembre 2019, 11:13
Utilizzare il congedo straordinario dal lavoro collegato alla Legge 104 per fare altro, che non sia l'assistenza al familiare per il quale è stato concesso, porta dritti al licenziamento. Ne sa qualcosa una dipendente dell'università d'Annunzio che si è vista rigettare dal giudice del lavoro del Tribunale di Chieti, Ilaria Prozzo, il ricorso con cui aveva fatto opposizione al provvedimento di rigetto dell’impugnativa del licenziamento, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del licenziamento. E chiedendo anche il risarcimento dei danni all'ateneo.

La dipendente, usufruendo della legge 151 del 2001 che detta una serie di disposizioni in materia di congedo parentale, aveva ottenuto un periodo di congedo straordinario per un arco di tempo che va dal primo luglio del 2017 al 31 gennaio del 2018: in quel periodo doveva essere a casa per assistere la madre disabile, invece per alcuni giorni era partita per un viaggio che l’ha portata fino in Cina, per assistere il coniuge che partecipava ad un convegno. Secondo il giudice nel caso in questione è innegabile che sia venuto meno il nesso tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, in quanto la donna si è recata per nove giorni consecutivi all’estero, a migliaia di chilometri di distanza dal familiare da assistere, omettendo totalmente di prestare quell’assistenza in vista della quale soltanto era giustificata la sua assenza dal lavoro.

Del tutto condivisibile, si legge ancora nella sentenza di rigetto, è allora quanto sostenuto dal giudice della prima fase ossia che la ricorrente "abbia indebitamente fruito di quest’ultimo beneficio senza perseguire la sua naturale finalità, abusando della fiducia del datore di lavoro (che, in assenza della segnalazione anonima, astrattamente sarebbe potuto rimanere all’oscuro della reale finalità perseguita dalla ricorrente durante la sua assenza dal lavoro)". E di nessuna rilevanza, secondo il giudice, è che la donna si sia recata in Cina per assistere il coniuge (pure alle prese con un problema di salute ndr), nella partecipazione ad un convegno, laddove "né la certificazione medica in atti né le richieste prove testimoniali sono idonee a dimostrare la gravità della patologia del coniuge" .

Secondo il giudice "essendo il congedo frazionabile, ben avrebbe potuto la ricorrente interrompere il periodo di congedo e chiedere di usufruire di un periodo di ferie per accompagnare il coniuge o, quantomeno, informare l’Amministrazione di tale necessità, così da trovare una soluzione concordata nell’interesse di entrambe le parti". E invece "non ha fatto nulla di tutto ciò e la sua condotta è stata scoperta solo grazie ad una segnalazione anonima, il che porta a ritenere che abbia agito in mala fede confidando nel fatto che, data la notevole distanza dal luogo di lavoro, nessuno avrebbe scoperto che si trovava in Cina in compagnia del marito". La donna è stata anche condannata a pagare spese di lite per oltre 7.000 euro.
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