Morto sul Gran Sasso, il video
e quel "presagio":
«La mia vita è stata un sogno»

Morto sul Gran Sasso, il video e quel "presagio": «La mia vita è stata un sogno»
di Stefano Dascoli
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Venerdì 22 Luglio 2016, 12:02
TERAMO - «Sono morti dove desideravano morire». Gli occhi di Cristina Presutti sono azzurri come il cielo che si staglia sulle cime del maestoso Gran Sasso. Uno scenario mozzafiato che non riesce, però, a lenire il dolore per l’ennesima tragedia. Forse quella più inspiegabile perché si porta via due alpinisti espertissimi, preparati, competenti, attrezzati, due riferimenti assoluti. Cristina è la moglie di Luca D’Andrea, 51enne di Sulmona, inseparabile compagno di cordata di Roberto Iannilli, uno dei più importanti uomini di montagna in Italia, un’istituzione con all’attivo centinaia di spedizioni, in ogni parte del Mondo. Cristina stringe a sé Patrizia, l’altra donna di questa tragedia, la compagna di vita di Roberto. Un abbraccio talmente dignitoso da sembrare persino sereno. E in effetti l’atmosfera, all’obitorio del Mazzini di Teramo, è quasi surreale: ci sono i parenti delle vittime che fanno un tutt’uno con guide alpine, escursionisti, appassionati di queste cime. Sembra davvero una grande famiglia.

Luca e Roberto erano tornati là dove erano stati cento volte. Con l’idea, sicuramente “estrema”, di tracciare una nuova via in una parete, quella Nord del Monte Camicia, che non è una roba per tutti, anzi. In sessant’anni appena cento salite. Ma è un muro che fa “curriculum”, l’unico nel Centro Italia assimilabile a quelli alpini, 1.100 metri che attivano dinamiche di salita quasi uniche. «Portare a casa una parete del genere è motivo di grande orgoglio» racconta Gino Perini, capostazione del Soccorso Alpino che sa tutto di queste rocce. I due erano arrivati lunedì. «Mi ha chiamato – racconta la moglie di Luca, Cristina – mi ha detto che da quel momento non ci saremmo sentiti perché il telefono non aveva campo e che sarebbero rientrati mercoledì». E infatti, da quanto è stato possibile ricostruire, l’attacco alla parete comincia alle prime luci di martedì, forse intorno alle 3.30-4 del mattino. Luca e Roberto sono in cordata. Probabilmente Roberto è davanti, almeno questo si può presupporre dall’assetto. Il dramma accade in pochi istanti, certamente nella fase iniziale della salita, dove c’è un insidioso “zoccolo d’erba”. Duecento metri circa di salita. Forse piove qualcosa dall’alto, più probabilmente si sgretola la roccia che qui è particolarmente friabile. Di certo una fatalità, un evento che fa saltare tutte le procedure di sicurezza che i due conoscono a menadito. Il volo, l’impatto, la morte.

La sera di mercoledì Patrizia, la moglie di Roberto, si agita. Suo marito non dà notizie. Scatta la telefonata a Cristina che cerca di rassicurarla: «Vedrai, come sempre avranno avuto qualche intoppo tecnico, riemergeranno presto. Allertare i soccorsi? Per carità, Luca è contrario». Ma Patrizia è preoccupata. Chiama Luca Mazzoleni, l’amico titolare del rifugio Franchetti. «Ho chiesto agli amici del Cai di Castelli di andare a dare un’occhiata se c’erano luci o persone in parete – racconta Mazzoleni – ma non hanno visto nulla. Al mattino, alle 6.30, ho chiamato il 118». Il sorvolo, con l’elicottero, comincia dalla parte alta del pendio. «Speravamo di trovarli lì, magari per qualche lungaggine nei tempi – dice Perini, il capo del Soccorso Alpino – invece poi li abbiamo visti in basso». Uno dei due indossava scarpe non da arrampicata. Il che ha fatto presupporre una caduta nelle primissime fasi. In realtà lo “zoccolo d’erba” si eleva per almeno 200 metri e non è detto che sia meglio affrontarlo con una calzatura tecnica. Le parole delle mogli raccontano «due spiriti liberi», con «una passione innata per la montagna», senza alcuna voglia di smettere: «Amava molto il Gran Sasso -dice Patrizia - ed era consapevole di ciò che faceva». Consapevole anche che lì, in quella che consideravano la loro “palestra”, il “buco” della Nord del Camicia, si poteva anche morire. In Rete gira un video autobiografico di Roberto che oggi suona come uno struggente testamento morale: «Questa notte non sognerò nulla, la mia vita è stata un sogno».
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