Donna morta per trasfusioni infette, iI figlio: «Giustizia dopo 37 anni, avevamo quasi perso la speranza»

Donna morta per trasfusioni infette, iI figlio: «Giustizia dopo 37 anni, avevamo quasi perso la speranza»
di Francesco Marcozzi
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Venerdì 3 Febbraio 2023, 11:15

Dopo un’odissea lunga 37 anni, ha avuto termine la vicenda della donna morta a causa di trasfusioni con emoderivati. La paziente venne sottoposta a trapianto di midollo osseo allogenico all’ospedale di Perugia dal quale sarebbe derivata l’infezione da epatite C. La sentenza di secondo grado, che ha ammesso un risarcimento per la famiglia della vittima di 500.000 euro, è stata emessa dalla Corte d’Appello di Perugia, che ha ritenuto provata la responsabilità contrattuale dell’Azienda unità sanitaria locale Umbria 1 per il danno non patrimoniale da lesione del bene salute sofferto dalla settantenne. A raccontare la vicenda oggi è il figlio.
La figura di sua madre che posto assumeva all’interno del vostro contesto familiare?
«Mia madre era una donna semplice ma al tempo stesso coriacea e combattiva; era certamente il principale punto di riferimento mio, di mia sorella e di mio padre. Ogni qualvolta avessimo bisogno di qualcosa lei era sempre pronta a sacrificarsi spesso molto più del dovuto».
Come ha vissuto la malattia?
«Dopo i primi momenti di smarrimento e scoramento, ha deciso di affrontare il problema in maniera molto semplice e spontanea cercando soprattutto di non essere un peso per tutti noi. Spesso era anzi lei a darci la forza di andare avanti nonostante la vedessimo ogni giorno sempre più sofferente. Nonostante abbia convissuto per oltre 20 anni con una patologia così deleteria e invalidante non si è mai data per vinta sperando sino all’ultimo in un miracolo, che però non c’è stato».
Come voi avete vissuto la malattia?
«Quando tutto è cominciato (1986) io e mia sorella eravamo molto giovani e, inizialmente, non avevamo ben compreso la gravità della situazione anche perché nostra madre tentava sempre di celare il proprio stato di salute. Poi con il passare del tempo le siamo stati vicino il più possibile, tentando ogni tipo di terapia che potesse permetterle una guarigione. Abbiamo girovagato per l’Italia intera in cerca di una soluzione che purtroppo non è mai arrivata».
Speravate di ottenere il risarcimento?
«A dire il vero dopo il giudizio di primo grado durato ben 12 anni avevamo perso quasi per intero le speranze. Chi era veramente convinto di potercela fare è sempre stato il nostro legale, Vincenzo De Adducis, il quale ci ha sempre spronato a crederci fino in fondo, oltre che per l’aspetto “materiale” anche e, soprattutto, per rendere onore alle immani sofferenze cui è stata sottoposta, suo malgrado, nostra madre.  Abbiamo sempre condiviso con lui ogni attimo della vicenda sia la delusione del primo giudizio che la soddisfazione per il secondo».
In conclusione?
«Vorrei invitare tutti coloro che hanno subito un simile torto a denunciare quanto accaduto perché la giustizia è forse un po' lenta ma prima o poi arriva».

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