Addio a "Gigi" Mario, alpinista e monaco zen

Addio a "Gigi" Mario, alpinista e monaco zen
di Maurizio Di Biagio
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 10 Novembre 2021, 10:19

TERAMO - A sedici anni arrivò in cima al Colosseo, era il 1954: ci pensò un pizzardone a farlo desistere. Non gli mancò nemmeno lo spiritualismo: nel 1967 si recò in Giappone innamorato della meditazione Zen e l'8 aprile del 1971 venne ordinato monaco con il nome di Engaku Taino. Ebbe il coraggio di lasciare il posto fisso in banca per abbracciare il suo vero ed unico amore: la montagna.


Teramo piange il più appassionato cultore delle sue vette. Guida alpina e maestro di sci, il romano Luigi Mario, detto Gigi, se n'è andato all'età di 83 anni. Per dieci anni, negli anni 60, ha gestito il rifugio Franchetti: fu il primo in assoluto. Innamorato della nostra terra spesso era a Pietracamela, rinnovando le sue antiche tradizioni, ricordando ai suoi amici tutte le vie che aveva aperto sul Gran Sasso: tra le prime quella della Rosy. Tipo anche bizzarro, al di fuori degli usuali schemi. «A volte era solito girare con un ombrello a mo' di parasole con vezzo giapponese» ricorda l'amico di famiglia Paolo De Luca, suo padre era molto legato all'alpinista. Gli torna in mente un aneddoto «di quando lui chiese a papà un asino per solcare il sentiero impervio, molto più di ora, che conduceva al rifugio». 


Ma Gigi ha aperto tante vie sul gigante che dorme.

A 20 anni scoprì le Alpi e ne rimase incantato: sulle Dolomiti capì che ad arrampicarsi era forse uno dei migliori. Però il colpo di fulmine lo ebbe con il Gran Sasso: per lui il massiccio era remoto a fine anni Cinquanta, non esistevano né l'A24 e nemmeno il rifugio e si partiva dalla funivia di Campo Imperatore per poi stare la mattina dopo al lavoro in banca.

Tempi eroici, su misura per Gigi. In quegli anni si trasferì definitivamente al Franchetti: in una stagione incamerava 30 mila lire a fronte delle 100 mila della banca. In seguito, dopo il suo viaggio in Giappone nel 1967, cercò in Italia di diffondere l'alpinismo abbinato alle regole del monastero Zen ma non funzionò: i suoi allievi non sapevano amalgamare i due insegnamenti. 


L'arrampicata era tutta la sua vita, da primo o da ultimo in cordata: faceva lo stesso. «Era un tipo unico chiude De Luca saliva in vetta, faceva meditazione e poi riscendeva col suo parasole. Mio padre Antonio alla fine gli diede un mulo: con l'asino dov'è che vai Eganku Taino? lo rimbrottò teneramente. Quello non resiste ai carichi!».

© RIPRODUZIONE RISERVATA