I due, nel 2012, per motivi disciplinari, vennero mandati via proprio da quella squadra e avrebbero iniziato a covare risentimento contro il presunto responsabile di quell'allontanamento, appunto l'ispettore Sciolè (ieri sentito dal tribunale insieme al capo della mobile, Pierfrancesco Muriana). Due le lettere anonime contro di lui, piene di particolari che riguardavano anche i familiari più stretti di Sciolè: circostanze e fatti (anche rapporti di amicizia dei figli), dei quali poteva essere a conoscenza soltanto qualcuno che aveva potuto scavare nella vita privata dei soggetti. Immediatamente Muriana intuisce che si tratta di qualcuno all'interno della Questura e, con un percorso inverso, risale a chi aveva fatto degli accessi allo SDI della polizia, che è un contenitore infinito di dati estremamente sensibili che riguardano tutti i cittadini e vengono consultati soltanto per motivi investigativi. In questo caso la polizia accertò che nessuno dei dirigenti aveva mai autorizzato quegli accessi (e si parla di centinaia di accessi anche a parenti e amici dei colleghi; loro auto, conti correnti, frequentazioni, insomma di tutto di più).
Muriana mette tutto nero su bianco e i due vengono quindi allontanati dalla squadra mobile e spediti uno a Lanciano e uno a Teramo in attesa di ulteriori provvedimenti che il Viminale prenderà alla fine del processo. Sulla vicenda è intervenuto anche il garante della privacy proprio per la gravità del fatto e infatti, dopo questi episodi, tutti gli accessi sono stati sottoposti ad ulteriori e più restrittive attività di controllo. Giovedì prossimo nuova udienza.
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