Diego Armando Maradona e Paolo Rossi, Graffiti Aquilani...

Paolo Rossi e, a destra, Aurelio Capaldi
di Enrico Cavalli
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Giovedì 17 Dicembre 2020, 18:47

L’AQUILA Il presidente della Figc, l’abruzzese Gabriele Gravina, così ha ricordato Paolo Rossi: «Se ne va un pezzo d’Italia, ma le memoria resta...». La scomparsa dell’eroe della vittoria italiana ai Mondiali di Spagna ‘82, segue di alcuni giorni quella del forse più grande del football contemporaneo, l’argentino Diego Armando Maradona.

Entrambi, si sfidarono al gironcino per le semifinali del Mundial spagnolo, prevalse Pablito che sarebbe divenuto, appunto, il capocannoniere del trionfo iridato italiano, ma a Messico 1986, Dieguito si prenderà la rivincita (pure lui come gli azzurri battendo la Germania Ovest in finale), mentre gli uomini di Enzo Bearzot preparatisi al ritiro a Roccaraso, si piegarono alla Francia di Platini agli ottavi...

Soffermiamoci, sommessamente, sui risvolti fugaci che i due top player ebbero con l’aquilanità calcistica. Circa Maradona, per uscire dai postumi del gravissimo infortunio subito al tempo del Barcellona e raggiungere in ritiro gli azzurri partenopei assieme al diesse Pierpaolo Marino, chiese un consulto alla Clinica ortopedica cittadina, altresì, non disdegnando un ristoro alla “Grotta di Aligi” in Villa Comunale dei tifosissimi Peppino e Vittorio Aceto (nell’occasione erano presenti il fotografo Benedetto Buccigrossi e Nicola Iovenitti prossimo assessore comunale); Dieguito, che per restare in Abruzzo, firmò la sua prima rete su azione in rovesciata spettacolare a Pescara in Coppa Italia nel settembre 1984, per salutare un suo compagno argentino militante nella Viribus Mondragone, assistette all’1-2 inflitto dai locali casertani l’11 dicembre 1985, in un recupero infrasettimanale d’Interregionale, ai rossoblù aquilani a guida Giampaolo Rossi (ed aventi Anikic, Chikowalsky, l’ex napoletano Stanzione…), infine, probabilmente, memore della “gente forte e gentile”, assieme ai suoi compagni del Napoli tricolore ‘87, il “pibe de oro”, tornerà in queste lande, indossando gli scarponi da sci per le piste dell’Aremogna...


Riguardo a Paolo Rossi, giovanissimo attaccante alla Kurt Hamrin in squadre dilettantistiche di Firenze, ebbe come suo scopritore Italo Acconcia e che da tecnico federale lo segnalò, nel 1973, ad Italo Allodi general manager alla Juventus; il talent scout di Castelvecchio Subequo, tenne a mente Rossi che nel 1976, chiama alla nazionale Juniores (composta dea vari Galli, Cabrini, Tardelli, fratelli Baresi), aprendogli le porte per i Mondiali di Argentina 1978, laddove, nonostante il peso di 2,5 miliardi con cui la Lanerossi Vicenza lo riscattò dalla casa juventina, iniziava l’epopea di “Pablito” e che disse così del talent scout di Castelvecchio Subequo: «Era un tecnico in gamba, bravissimo soprattutto sul piano umano.

E sempre lui mi diede la prima maglia azzurra».

Indirettamente ebbe a che fare con la dimensione aquilana, Rossi perché grazie a una pionieristica sponsorizzazione calcistica passò dal Lanerossi Vicenza al Perugia e che da imbattuto nel 1978-79 dietro al Milan, aveva disputato il 7 giugno ‘79, un’amichevole notturna allo stadio “T.Fattori” per il salto in C2 dei rossoblù del presidente Tonino Angelini e mister Aroldo Collesi, nel segno dei quattro giovani tifosi periti verso lo spareggio di Cassino; per inciso, fu un incontro carico di intrecci, poichè il sodalizio perugino era salito in A nel 1975-76, trascinato in campo dal suo capitano, l’ex aquilano Giuseppe Picella a fine anni ‘60 e dal management di Franco D’Attoma, rampollo di una famiglia finanziatrice negli anni ‘50, del club rossoblù quanto proprietario della “Ellesse” (l’acronimo della famosa ditta Luisa Spagnoli e suggerita a D’Attoma dallo studente universitario a Perugia, Romeo Ricciuti, futuro onorevole aquilano).

Rossi andò incontro all’impasse del calcio scommesse ‘80, poi, in grado di superarlo a fronte di quegli allori mondiali e stagioni, juventine, milaniste, veronesi e di opinionista “RaiSport”, qui, intessendo a proposito di correlazioni aquilane, l’amicizia col giornalista Aurelio Capaldi che lo ha celebrato in un lungo messaggio social: «Soprattutto nelle trasferte all’estero, Pablito era sempre disponibile con tutti. Non dimenticava mai chi era e cosa rappresentava per tutta la comunità del calcio internazionale»; davvero, questo, un omaggio speciale ad un “campione normale”, non in contrapposizione, ma differente da un più “anticonformista” Maradona.

Due fuoriclasse di decadi mitiche per il football mondiale, con un piccolissimo ma significativo raccordo al calcio aquilano, o meglio, viceversa, ma come che sia questa rievocazione nell’auspicio per i colori rossoblù di un prossimo raffronto ai grandi palcoscenici professionistici, un’impresa, magari, possibile imparando, ogni tanto, dal passato e che “crocianamente” è sempre attuale, come le gesta di certi fuoriclasse.

Enrico Cavalli

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