Covid, L'Aquila teme di diventare la nuova Bergamo. «Stiamo vivendo un secondo terremoto»

Covid, L'Aquila teme di diventare la nuova Bergamo. «Stiamo vivendo un secondo terremoto»
di Stefano Dascoli
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Lunedì 23 Novembre 2020, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 17:47

L'AQUILA - «Questo è a tutti gli effetti un secondo terremoto». Il coronavirus ha messo in ginocchio il Paese, ma forse ancora di più una città, L’Aquila, che negli ultimi undici anni ha provato, con fatica, a risollevarsi dalla tragedia del 2009. E proprio quando la rinascita, fisica, economica e sociale, sembrava a portata di normalità, il virus si è abbattuto come un «flagello», per usare le parole del governatore Marco Marsilio. Lo certificano i numeri. Fino al 2 ottobre la città era sostanzialmente Covid-free, avendo passato quasi indenne la primissima fase: appena 124 casi totali, circondario compreso. In meno di due mesi il conto è arrivato a 3.457, sfiorando quota 8 mila se si allarga a tutta la provincia: un terzo dei contagi della regione, nel territorio meno densamente popolato. Un’incidenza in linea con quella di Milano che ha spinto la Regione ad auto-proclamarsi “zona rossa” prima ancora che lo facesse il Ministero della Salute. E a organizzare sul modello-Bolzano uno screening di massa senza precedenti: test rapidi su tutta la popolazione provinciale, oltre 300 mila persone in 108 comuni, nelle prossime due settimane.

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L'Aquila, giorni drammatici

Per L’Aquila sono stati 50 giorni drammatici che hanno riportato alla mente quelli del 2009 e spinto Marsilio a un paragone che ha fatto discutere: «E’ come Bergamo nella prima fase».

Ospedale paralizzato, caccia forsennata ai posti letto, terapie intensive piene, pazienti bloccati al Pronto soccorso o in ambulanza, corsa al tampone-fai da te, focolai nelle case di riposo e nelle scuole (due chiuse dal sindaco Pierluigi Biondi) e, purtroppo, morti. Tanti, soprattutto anziani: 57 nell’area cittadina, tutti in questa seconda fase, 164 nell’intera provincia. E due perdite recenti che hanno inferto il colpo di grazia sul piano emotivo: due simboli, l’ex rugbista Carlo Di Giambattista e Adriano Perrotti, diversamente abile a causa di un incidente, da trent’anni protagonista della lotta a favore dell’inclusione. Entrambi avevano appena 56 anni.


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Le tappe

Cinquanta giorni che hanno un inizio preciso: il weekend tra 3 e 4 ottobre. In quei giorni una città che aveva trascorso un’estate serena, una delle poche in Italia in cui si sono tenuti i grandi eventi all’aperto, senza contagi, ha forse mollato un po’ la presa. Due o tre feste nei locali, abbinate alla ripresa delle lezioni, il 24 settembre, hanno trasformato i giovani nei detonatori che hanno fatto esplodere la curva. Oggi un aquilano su 10 è alle prese con il virus, tra contagi e isolamenti. Uno su 35 l’ha contratto. I negozi che avevano scommesso sul centro storico, restaurato per oltre la metà, hanno chiuso per l’ennesima volta. Come dopo il 6 aprile. I commercianti chiedono aiuto. Il sindaco Biondi dice che «il disorientamento è raddoppiato per un progetto di rinascita che vedevamo finalmente realizzato e messo ancora a rischio. Come nel 2009, ci vogliono razionalità e capacità di guardare oltre». Magari al riconoscimento di Capitale italiana della Cultura per il 2022. Lo psichiatra Massimo Casacchia dice che il sisma dovrebbe «aver insegnato che si può riprendere a vivere, pur nelle difficoltà emotive ed economiche». E che «non siamo noi a definire il destino, ma possiamo imparare a gestirlo». Per gli aquilani, l’ennesima ricostruzione. 
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